Il 17 novembre 1988 una piccola favola debuttava nei cinema dello Stivale. Accompagnata da un giovane regista, portava con sé una storia intima, quasi biografica. Raccontava di una mollica di paese, di una pittoresca sala parrocchiale e del suo baffuto proiezionista. E lo faceva attraverso lo sguardo curioso di un bambino tutto occhi e sorriso che, risvegliatosi ormai uomo e lontano da casa, cominciava a ricordare. Un omaggio alla Settima arte, all’amicizia, all’amore e a tutto ciò che ci sta intorno. Il titolo del film che stregò la Costa Azzurra e commosse Hollywood era Nuovo cinema paradiso. Il nome del regista Giuseppe Tornatore. E quella sera di novembre fu un incubo. Per entrambi.
Eppure, il primo impatto dei 155 minuti dell’opera con il pubblico era stato più che positivo. Il 29 settembre 1988, infatti, il Festival EuropaCinema di Bari aveva accolto il secondo film dell’autore siciliano con dieci minuti di standing ovation. Un omaggio tributato dal pubblico pugliese in particolare all’interpretazione di Philippe Noiret (Alfredo, il proiezionista) e alle musiche di Ennio Morricone. Forte di questo piccolo successo, la pellicola era stata distribuita in tutta Italia e lanciata come l’ambiziosa sfida di un autore alla sua platea: “All’epoca accadeva continuamente, alcune città italiane rimasero senza cinema. In quel clima pensai che era arrivato il momento di realizzare un progetto che mi portavo dietro da tempo”. Il fiasco fu totale. Dopo appena due giorni di programmazione la pellicola fu ritirata da ogni sala. Eccetto Messina, dove restò a lungo in cartellone. Il gestore del cinema Aurora, Govanni Parlagreco, si era di fatti innamorato di quella fiaba al punto da invitare i suoi clienti a pagare il biglietto al termine della visione e solo se soddisfatti.
Convinto che il flop fosse da imputare all’eccessiva lunghezza del film, Tornatore decise di rilanciarlo immediatamente sul grande schermo ma in una versione più snella, alleggerita di ben 25 minuti. Bocciato ancora dal botteghino e respinto con perdite dal Festival di Berlino, Nuovo cinema paradiso sembrava assumere i contorni di uno di quei sogni che, forse, sarebbe stato meglio lasciar riposare nel cassetto. Proprio il rifiuto incassato dalla rassegna tedesca, tuttavia, diede vita a un certo chiacchiericcio. Prima invitato dai curatori della kermesse dell’Orso d’oro e poi allontanato in maniera goffa dal direttore Moritz de Hadeln, lo sfortunato lungometraggio divenne un piccolo caso cinematografico, attirando l’attenzione dei selezionatori del Festival di Cannes che decisero invece di ammetterlo alla 42° edizione della rassegna francese. La giuria presieduta da Wim Wenders ne fu incantata e decise di premiarlo con il Grand Prix Speciale. Era la primavera dell’89, la Fenice era risorta e nello smoking di Tornatore già trovavano posto un biglietto per Los Angeles e il pass per il Kodak Theatre.
Incluso nella cinquina finale dei candidati all’Oscar per il Miglior film straniero, Nuovo cinema paradiso riuscì ad accaparrarselo, riportando così in Italia un premio che mancava dal 1975, quando era toccato ad Amarcord e a Federico Fellini ringraziare l’Academy. Proprio il maestro romagnolo – contattato a suo tempo da Tornatore per un piccolo cameo mai consumato – aveva avvertito l’inesperto collega: “Se vinci l’Oscar, prenditelo tu, sennò Cristaldi te lo frega e ti fa fare una copia”. Franco Cristaldi, che aveva prodotto entrambi i film appena citati, accettò di lasciare al giovane regista l’ambita statuetta. A una condizione, però: una volta saliti sul palco sarebbe spettato a lui prendere per primo la parola. Impugnato il microfono, il produttore italiano si esibì negli omaggi di rito, non dimenticandosi di ricordare come quella data, il 26 marzo, fosse per lui molto fortunata. Lo stesso giorno, proprio ritirando il premio per Amarcord, aveva infatti incontrato sua moglie, Zeudi Araya. Tornatore ascoltava emozionato e impaziente, pronto a scusarsi per il suo pessimo inglese e a far sorridere il pubblico con una battuta: “Spero che tra di voi ci sia una donna che, come per Cristaldi, diventerà mia moglie”. Non fece tempo a dire “Excuse me” che la telecamera già l’aveva abbandonato. Il produttore, infatti, aveva monopolizzato i 45 secondi a disposizione dei due, lasciando così al regista il record del più breve discorso a una Notte degli Oscar.
“Questo film mi ha dato tutto. Nell’arco di un anno mi è accaduto tutto quello che può accadere nella carriera di un regista: dall’insuccesso più nero e disperato, fino al successo più roseo e gioioso. È stato come avere fatto dieci film insieme”. L’odissea di Nuovo cinema paradiso ci ha così restituito un film che pubblico e critica stavano frettolosamente per archiviare. Forse non un capolavoro, seppur sia ancora oggi il titolo più riuscito della filmografia di Tornatore. Ma senza dubbio un’opera che conserva intatto il calore di un cinema popolare, capace di regalare attimi di un’Italia distante eppure attuale. Di superare il racconto per immagini e restituirci un mondo tanto vivo da poterlo sentire. Respirando il tabacco delle sigarette che riempivano la sala e accarezzando i cigolii delle sedie in legno che cullavano (e cullano ancora) la fantasia di chi, davanti a un fascio di luce che proietta un bacio su un lenzuolo bianco, si lascerà sempre rapire. Con la bocca socchiusa e lo sguardo curioso. Come quello di un bambino.
Twitter: @Ocram_Palomo