Un emendamento M5s al decreto fiscale incentiva la creazione di una nuova società con in pancia l'infrastruttura dell'ex monopolista e quella ultraveloce su cui sta investendo la partecipata di Enel e Cdp. L'Agcom è incaricata di stabilire "adeguati meccanismi incentivanti di remunerazione del capitale investito" tenendo conto anche della forza lavoro. I critici temono rincari a carico degli utenti finali. E Vivendi è contraria
Luigi Gubitosi è il nuovo amministratore delegato e direttore generale di Tim. La nomina è stata ufficializzata dal consiglio di amministrazione convocato domenica pomeriggio per scegliere prima della riapertura dei mercati il nuovo capo azienda, a cinque giorni dalla defenestrazione del predecessore Amos Genish in rotta con il fondo Elliott. L’ex numero uno di Wind e direttore generale della Rai, dal maggio 2017 commissario straordinario di Alitalia, è dunque l’uomo che traghetterà l’ex monopolista verso lo scorporo della rete telefonica in vista della possibile creazione di un’unica infrastruttura a controllo pubblico.
L’operazione, obiettivo del fondo statunitense che lo scorso anno ha conquistato la maggioranza nel cda di Tim con il sostegno decisivo di Cassa depositi e prestiti, appare destinata a subire un’accelerazione dopo la mossa del governo gialloverde: un emendamento del Movimento 5 Stelle al decreto fiscale incentiva la creazione di una nuova società con in pancia la rete di Tim e quella in fibra ottica che sta costruendo Open fiber, creata nel 2015 da Cdp (socia anche di Tim) ed Enel. La logica è quella di potenziare gli investimenti nella banda ultralarga evitandone la duplicazione. Resta però l’ostacolo della ferma opposizione di Vivendi, azionista di maggioranza di Tim, i cui rappresentanti si sono opposti alla nomina di Gubitosi e secondo Il Sole 24 Ore sono pronti a impugnare la delibera. Genish, uomo di Vivendi, al termine dell’assemblea ha commentato: “E’ stato un capitolo triste per Tim. La politica ha giocato un ruolo con successo. Credo che le decisioni degli ultimi giorni non siano nell’interesse degli investitori e non rappresentino la base degli investitori. Ho chiesto di convocare l’assemblea al massimo entro inizio 2019″.
Il ruolo dell’Agcom e gli incentivi basati su investimenti e forza lavoro – Lo spin-off della rete con intervento di Cdp non è certo una novità. Era il fulcro del piano di Angelo Rovati che nel 2006, a nove anni dalla privatizzazione di Telecom, fece traballare il secondo governo Prodi. La novità degli ultimi giorni consiste nella spinta all’unificazione attraverso un meccanismo di remunerazione degli investimenti modellato su quello già in vigore per Terna (gestore della rete elettrica) e Snam (gas) e nel ruolo di regista attribuito all’Autorità garante delle tlc. In determinate circostanze – mancanza di effettiva concorrenza o “rilevanti inefficienze di mercato che possano pregiudicare la sostenibilità degli investimenti” – l’Agcom potrà infatti imporre a Tim la separazione della rete. In alternativa potrà incoraggiare l’aggregazione volontaria delle reti di diversi operatori, leggi Tim e Open Fiber, “in capo ad un soggetto giuridico non verticalmente integrati e appartenente a una proprietà diversa o sotto controllo di terzi. In che modo? Stabilendo “adeguati meccanismi incentivanti di remunerazione del capitale investito”. Le tariffe, viene specificato, saranno fissate “anche tenendo conto del costo storico degli investimenti effettuati in relazione alle reti di accesso trasferite” e “della forza lavoro dell’impresa separata (ossia degli impatti dell’operazione di aggregazione in termini occupazionali)”.
I critici: “Rischio aumento dei costi per gli utenti” – L’agenzia Reuters, citando una fonte vicina al dossier, ha scritto che se la remunerazione degli investimenti fosse calcolata con il metodo prospettato dall’emendamento il valore della rete aumenterebbe in modo significativo. Secondo i critici quel meccanismo, in particolare la “clausola occupazionale” per gestire gli esuberi che i sindacati quantificano in oltre 20mila, rischia per contro di comportare aumenti dei prezzi praticati dalla società della rete e, a cascata, dei costi per gli utenti. Il dem Michele Anzaldi si chiede “che garanzie ci sono che l’operazione non diventi un salasso per le tasche degli italiani, costretti a ricomprare non si sa a che prezzo la rete che era stata privatizzata negli anni ’90” e “che un operatore unico non provochi un aumento delle tariffe, a causa della mancata concorrenza”.
“Disegno coerente con quello dei governi Pd” – Va ricordato che della rete unica con la partecipazione della Cassa, cioè dello Stato, è stato fautore anche il governo Renzi e in particolare l’ex ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, che prima del voto del 4 marzo aveva salutato come “epocale” il progetto di separazione della rete annunciato da Genish e presentato ufficialmente all’Agcom a fine marzo. Non a caso domenica Antonello Giacomelli, vicepresidente della Vigilanza Rai ed ex sottosegretario alle comunicazioni dei governi Renzi e Gentiloni, ha aperto al piano delineato dall’emendamento M5s spiegando che appare “condivisibile e, credo di poter dire, coerente con il disegno perseguito dai nostri governi”. E ha auspicato che “nelle valutazioni del gruppo Pd delle prossime ore si confermi la tesi che fare opposizione seria non è dire no a prescindere. In questo caso specifico un contributo positivo di idee ed osservazioni è quello che serve all’interesse generale del paese”.
“Nessuno pretende due reti ferroviarie. I prezzi? Dipenderanno dagli operatori” – Massimo Mucchetti, ex senatore dem ed ex presidente della commissione Industria del Senato che nel 2017 aveva proposto la fusione di Tim e Open fiber per poi scorporare la rete e quotarla, intervistato da Repubblica afferma che “se ben eseguita, l’operazione può funzionare perché crea la convenienza a investire e a fare un accordo volontario tra Tim e Open Fiber. Ancorché in una legge sulla concorrenza si potrebbe sempre imporre la separazione della rete a Tim”. E a chi parla di nazionalizzazione e aumenti delle tariffe risponde: “Non sanno quello che dicono. Non sono loro che hanno sostenuto l’acquisto del 5% di Tim da parte della Cdp per conquistarne il board? Chiediamoci semmai perché nessuno pretende due reti ferroviarie ad alta velocità o due reti ad alta tensione“. L’andamento delle tariffe “dipenderà dagli operatori, clienti della rete ma in concorrenza tra loro. Frecciarossa e Italo pagano entrambi Rfi e poi fanno le loro offerte a prezzi diversi da quelli degli Intercity e nessuno solleva questioni di principio”.