L’intoccabile casta giornalistica che incredibilmente si ritiene “sacra” e infallibile, almeno secondo i suoi rappresentanti – anche quelli prossimi e/o omologati alla politica più screditata e compromessa della prima, seconda e terza repubblica -, continua, dopo aver denunciato con ogni mezzo e in ogni sede il vulnus subito per le parole decisamente “poco concilianti” di Di Battista, Grillo e Di Maio, a paventare rischi supremi di intimidazione e compressione della libertà di informazione, a riversare sui “grillini” accuse di autoritarismo infantile e primitivo ma soprattutto a evitare la pur minima autocritica.
Dallo scorso sabato, quando quello che era stato annunciato e amplificato come il giudizio universale nei confronti di Virginia Raggi si è risolto in una sentenza di piena assoluzione perché il fatto non costituisce reato – “probabilità” presente a chiunque con un minimo di cognizioni giuridiche avesse seguito senza malafede tutta la vicenda processuale, e dunque ignota alla quasi totalità dei “professionisti” dell’informazione addomesticata -, la grancassa mediatica si è prodotta all’unisono in un continuum di allarmi e di appelli concitati in difesa della libertà di stampa.
Tutti i rappresentanti istituzionali, dai presidenti del Consiglio dell’Ordine a quelli della Fnsi con il supporto dell’Agcom, insieme a una folta schiera di “autorevoli” e onnipresenti esponenti della categoria, sia i tanti che nei 25 anni precedenti erano stati accomodanti o distratti nei confronti delle epurazioni berlusconiane come degli avvicendamenti-espulsioni operate da Renzi, sia i pochi che avevano pubblicamente levato la loro voce in difesa della libertà di stampa e del pluralismo ora convergono nel bollare le “intemperanze verbali” di Di Maio e Di Battista come “attacchi mai visti”, “senza precedenti” e “più gravi che in passato”.
Vale la pena di ricordare che, se pure con i distinguo che vanno operati riguardo “l’opportunità di reazione” da parte di un esponente del Governo, gli insulti partiti dal campo del M5s sono solo un modesto rilancio in confronto al linciaggio metodico orchestrato dai media all’unisono nei confronti “dell’Oca del Campidoglio” da prima che si insediasse. Un accanimento talmente pervasivo che alla fine le semi-sconcezze di Vittorio Feltri sulla “patata bollente” derubricata da ultimo “a patata bollita” prima dell’assoluzione e del referendum-flop che avrebbe dovuto delegittimarla ulteriormente, sembrano quasi eccessi goliardici rispetto alle ricostruzioni infamanti e ai retroscena pruriginosi della “grande stampa” sulle trame opache e i presunti intrighi orditi dalla Messalina, con “gli accessori da migliaia di euro”, per garantirsi il potere e favorire i numerosi “protetti”.
Ma al di là delle motivazioni a fondamento della più o meno legittima difesa grillina, “accreditare la leggenda che oggi la libertà di stampa sia in pericolo come mai nella storia repubblicana” potrebbe in effetti derivare da un’allarmante (questa sì) “carenza di memoria e di fosforo”, come ha suggerito Marco Travaglio su Il Fatto Quotidiano del 15 novembre, ricapitolando la teoria infinita di espulsioni, censure, autocensure “pilotate”, ammonimenti in diretta, diktat, sostituzioni, veti preventivi, cancellazioni last minute, avvicendamenti improvvisi, liste di indesiderati puntualmente spariti che ha scandito almeno negli ultimi 20 anni il panorama televisivo (in primis nel servizio pubblico) e giornalistico.
Poi per spiegare il “fronte repubblicano” dell’informazione contro la deriva illiberale rappresentata esclusivamente dalla componente di Di Maio, pendant di quello politico che unisce Calenda, Renzi e Berlusconi passando per la Meloni e Grasso, bisogna tener conto della elementare ma illuminante e impronunciabile verità che qualche giorno fa a 8 e 1/2 ha enunciato Pietrangelo Buttafuoco: “I 5S sono al governo ma non sono il potere. In questo caso ‘il giornalismo istituzionale e laureato’ è un potere che ha creato una casta inaccessibile dove il dissidente viene azzerato. È lo stesso giornalismo che dà patenti di legittimità. La gens nuova che è arrivata al governo è estranea ai meccanismi rodati del potere”. Dunque viene considerata incompetente, al di là delle effettive incompetenze e dei veri o presunti demeriti da prima che il governo si insediasse, così come il presidente del consiglio era (e rimane) una specie di minus habens agghindato ben prima che aprisse bocca in un inglese o francese ineccepibile in qualsiasi consesso internazionale, così come le sindache pentastellate vengono trattate da abusive da sempre quasi che avessero conquistato Roma e Torino con un golpe invece che con il voto degli elettori, come ci ha ricordato di recente Massimo Fini.
E per rimanere alla levata di scudi permanente sul fronte dell’informazione “minacciata”, per valutare con criteri basati sulla concretezza l’impatto e il condizionamento dell’attuale governo rispetto ai precedenti basterebbe ponderare correttamente il rapporto tra fatti e parole, tra epiteti dispregiativi e giornalisti sgraditi mandati a casa. E magari ricordare l’aura di plauso mediatico spontaneo e/o indotto che ha avvolto il governo Renzi fino alla catastrofe del referendum e oltre e il governo Gentiloni ininterrottamente: entrambi molto abili con diverso stile a mettere le mani sul servizio pubblico e a tenersi in buoni rapporti con gli editori (impuri), naturalmente sine strepitu.