Verona, il racconto della dottoressa Dalla Benetta. Da dieci anni tiene un diario di ciò che accade ai suoi pazienti. Ma solo dal 2013 ha iniziato a collegare gli eventi. "Colesterolo, obesità, disfunzioni alla tiroide, tumori ai testicoli, tumori ai reni, ipertensioni gravidiche, Alzheimer", sono gli effetti che ha riscontrato a Zimella, provincia di Verona, in piena zona rossa
“Io non sono un guru, sono soltanto un medico di famiglia che opera nella provincia veneta. Ma certi fenomeni, nel contatto quotidiano con la gente e con i pazienti, non si possono non notare. E io li sto annotando in un quadernetto da più di dieci anni. E’ un metodo che ho imparato quando lavoravo in Etiopia con il Cuamm, dove, non essendoci supporti elettronici, ci avevano insegnato a tenere i registri cartacei. Qui, a Zimella, c’erano tante cose che non capivo, andamenti anomali di malattie, numero esagerato di aborti spontanei tardivi, ipertensioni gravidiche, tumori alla tiroide, decadimento cognitivo precoce”.
Elisa Dalla Benetta fa il medico di base in una delle tre frazioni di Zimella, Ulss 9 Scaligera, un paese di cinquemila anime in provincia di Verona. Siamo nel mezzo dell’Area Rossa A degli Pfas, che comprende i comuni serviti dagli acquedotti inquinati dalle sostanze perfluoroalchiliche, a valle di Trissino, nel Vicentino. La falda nel sottosuolo ha diffuso in un’area molto vasta il veleno presumibilmente prodotto dall’azienda Miteni. E’ un disastro ambientale che interessa potenzialmente almeno 300mila persone, per 90mila delle quali la Regione Veneto sta cercando di correre ai ripari con un piano sanitario.
Il racconto della dottoressa Dalla Benetta raccolto da ilfattoquotidiano.it è eccezionale, non per il suo valore di studio epidemiologico – che non è – ma proprio perché questo medico sentinella si è accorto delle anomalie, delle persone che si ammalavano e morivano, ben prima che l’inquinamento diventasse conclamato e oggi ne dà testimonianza. “Fino al 2013 io non sapevo nemmeno cosa fossero gli Pfas. Adesso che lo so, ho cominciato a capire”. E pochi giorni fa il professore Carlo Foresta dell’Università di Padova ha annunciato di aver dimostrato tutta la pericolosità degli Pfas per l’equilibrio ormonale, visto che l’organismo li scambia per testosterone, abbattendone l’effetto del 40 per cento.
Cosa ha capito dottoressa?
“Ad esempio che dopo dieci anni di consumo di acqua del rubinetto contaminata, cominciano a manifestarsi gravi problemi. Io stessa li ho sperimentati, purtroppo, sulla mia salute e sulla mia tiroide. Una signora trasferitasi in zona da Vicenza dieci anni fa, ha sviluppato un tumore alla tiroide. Lo stesso è accaduto a una mia paziente che arrivava da un paese extraeuropeo. Le mie erano piccole osservazioni di un medico, ma in linea però con la letteratura internazionale”.
Lo studio dell’équipe del professore Foresta dell’Università di Padova dimostra che gli Pfas interagiscono con gli ormoni, abbattono la produzione del testosterone, producono infertilità e causano tumori.
“Il professor Foresta, con cui sono in contatto da un anno, ha dimostrato scientificamente quello che noi medici di base notiamo ogni giorno. Ad esempio, se qualcuno va nel cimitero di Zimella trova le tombe di sette bimbi morti prematuri negli ultimi anni, quando dal 1960 al 2000 i casi analoghi erano stati solo 2. Sono tutti maschietti. Ma lo sa che vengono nel mio ambulatorio adolescenti che sono sessualmente confusi e pensano di essere gay? E’ l’effetto dei bassi livelli di produzione di testosterone sulla loro crescita in pubertà”.
Ma se è così, allora qualche effetto si dovrebbe riscontrare anche negli adulti, con fenomeni di femminizzazione.
“In ambulatorio io ho ricevuto ex pazienti della Miteni, persone con 15mila nanogrammi per litro, che stavano alla catena di produzione. Ho chiesto: quanti di voi si sono sposati e hanno fatto figli? ‘Pochi, molti non si sono nemmeno sposati’. A uno di loro ho chiesto se, quando erano in spogliatoio, non avesse notato colleghi con le mammelle… ‘E lei come fa a saperlo, dottoressa?’ mi ha risposto sbalordito. Gli ho spiegato che quello è un effetto delle alterazioni ormonali. ‘E’ vero, avevamo tutti le tette e ci vergognavamo’. Si tratta di un fenomeno comunque regressivo se si applicano dosaggi ormonali”.
L’opinione pubblica non sa, nessuno denuncia questi fatti.
“E’ per questo che non si può tacere. Per questo con le ‘mamme No-Pfas’ sono andata a Strasburgo a illustrare la situazione agli eurodeputati. Ma non è del tutto vero che i fatti non si conoscano. A Valdagno, ad esempio, lavora il dottor Vincenzo Cordiano, un oncoematologo, presidente dell’Associazione Medici per l’Ambiente – Isde, il primo che ha parlato dei rischi da Pfas, sostenendo che le sostanze interferiscono con la catena alimentare”.
Quest’ultimo è un argomento molto sottovalutato.
“Dovremmo domandarci quali siano gli effetti sulla produzione agricola e sull’allevamento, in una terra contaminata dagli Pfas. Le associazioni dei coltivatori diretti sono insorte perché il dottor Cordiano aveva sostenuto la necessità di interrompere la principale via di esposizione, quella alimentare. Possibile che queste cose le debbano dire i medici di famiglia?”.
E la sanità pubblica?
“Nel 2016 è stato effettuato un monitoraggio degli alimenti nella Zona Rossa, a cura della Regione Veneto. Sono stati effettuati prelievi di radicchio, patate, frutta e verdura in genere. Ma l’Istituto Superiore di Sanità non ha ancora pubblicato i dati. Perché questo ritardo? Servirebbe dare un’informazione georeferenziata, per sapere dove e da chi vengono prodotti gli alimenti inquinati. Quando il bubbone scoppierà, ci saranno forti ripercussioni economiche”.
Dovesse fare un elenco delle patologie da lei riscontrate?
“Livelli alti di colesterolo, obesità, disfunzioni alla tiroide, tumori ai testicoli, tumori ai reni, ipertensioni gravidiche, Alzheimer.
Una proposta per la Regione Veneto?
“L’abbiamo ripetuta in tutti i modi negli ultimi anni, ma non ci vogliono ascoltare. Dal 2010 i medici di famiglia sono telematici. Nella Zona Rossa ci sono 84 medici di base che ogni giorno esaminano la popolazione e producono un patrimonio enorme di dati, che restano lì, inutilizzati. Costituiscono uno zoccolo duro di informazione, basterebbe poco per portarli alla luce, ossia il lavoro di un informatico che consenta di estrarli e metterli a disposizione per capire di che cosa si ammalano le persone in queste aree. Novantamila pazienti seguiti per dieci anni dai medici di famiglia, costituiscono un tesoro unico di dati. Ma la Regione Veneto ha invece fatto il suo piano di sorveglianza come se i medici di famiglia non esistessero”.
Cosa dimostra questa storia?
“Che la salute va al contrario. Ci dicono di bere l’acqua del rubinetto, mentre dobbiamo bere acqua di bottiglia. Che i bambini vanno allattati al seno, ma è provato che la trasmissione degli Pfas avviene già con il latte materno. E che il cibo migliore è quello a ‘chilometro Zero’. Per sopravvivere, invece, dobbiamo, fare il contrario”.