Il disastro dei recenti incendi in California potrebbe essere (si spera) l’ultimo atto di un’annata che era già partita malissimo con le devastazioni in Grecia di inizio estate. Come sempre, di fronte ai disastri per prima cosa si cerca un colpevole. Da noi si parla dei famosi “piromani,” persone che devono necessariamente essere dei malati mentali ma che, tuttavia, sono a volte descritti come in grado di programmare azioni coordinate tali da generare incendi giganteschi. Altri colpevoli additati al pubblico ludibrio sono i “verdi” o gli “ambientalisti”, accusati di non aver voluto pulire il sottobosco per ragioni estetiche o per aiutare i loro amici scoiattoli, anche se la prova di tanta nefandezza sembra essere quantomeno vaga. Più ragionevole è parlare di “incendio colposo”, qualcuno che butta una cicca di sigaretta ancora accesa in una situazione di grave siccità. È comunque un caso di incendio generato dalla stupidità umana. L’effetto di una scintilla, poi, viene aumentato dall’urbanizzazione che aumenta i danni alle persone e alle cose.
E il riscaldamento globale? Pur con tutte le cautele del caso, gli scienziati sono concordi nel dire che è un fattore importante. Alle volte, si sentono dire cose tipo, “Un grado in più? Ma che danno vuoi che faccia?” ma le cose non sono così semplici. Non è solo una questione di temperatura media: il riscaldamento globale genera il cambiamento climatico che, in questo periodo, si manifesta principalmente come un aumento della frequenza degli eventi estremi. Uno di questi eventi è la siccità, che è uno dei risultati del riscaldamento globale. Ed è la siccità ad aumentare la probabilità degli incendi. Quindi, dovrebbe essere abbastanza ovvia la correlazione fra il cambiamento climatico e i vari disastri che ci stanno piombando addosso, non solo incendi ma anche inondazioni, frane, siccità, mareggiate, eccetera. Eppure, non cambia nulla o quasi. Avete mai sentito i nostri politici al vertice dire che fronteggiare il cambiamento climatico è una priorità? Non lo fanno, ma c’è una ragione. È perché la maggior parte della popolazione non ritiene che lo sia.
Negli Stati Uniti, secondo l’agenzia Gallup, il rapporto fra preoccupati e indifferenti è rimasto lo stesso da quasi 30 anni su un rapporto di circa il 60/40. Ovvero, il 60% degli americani dicono di essere preoccupati in qualche misura, il 40% di non esserlo. In Italia, la percentuale dei preoccupati sembra essere più alta, intorno all’80% secondo un recente sondaggio. Ma pochi italiani considerano il cambiamento climatico come un problema prioritario e, anche qui, la situazione non sembra vedere grossi cambiamenti.
Quindi, se in media la maggioranza sembra ritenere che il cambiamento climatico sia effettivamente un problema, è vero anche che non viene considerato come un problema così importante da richiedere misure prioritarie. Non sembra che il disastro in California abbia cambiato la situazione: la capacità umana di negare l’evidenza sembra non aver limiti, basti pensare come, in Italia, un gruppetto di persone prive di qualifiche in scienza del clima si siano sentiti in grado di presentare in pubblico le loro opinioni su come il riscaldamento globale non esista oppure che, se esiste, non è un vero problema in un convegno disgraziatamente ospitato dall’Università “La Sapienza” a Roma pochi giorni fa.
Allora, vedremo mai un disastro grande a sufficienza da convincere tutti che bisogna decidersi a fare qualcosa per fermare le emissioni di carbonio da combustibili fossili? Probabilmente no, e sicuramente non è il caso di star fermi a guardare aspettando che arrivi. E’ meglio continuare con le azioni concrete contro il riscaldamento: avanti con le rinnovabili e liberiamoci dei fossili il prima possibile.