Politica

Pd, a un giovane che vuole emergere basta salire sul palco e sbottare come Moretti

Nella società dello spettacolo l’unico modo per un giovane di ‘emergere’ (qualunque cosa ciò voglia dire) in politica è di studiarsi e prepararsi un intervento al fulmicotone e andare a lanciarlo in qualche consesso pubblico con la certezza di essere ripreso dalle telecamere.

Alessio Grancagnolo, lo studente siciliano che contestò la ministra Maria Elena Boschi all’università di Catania, venne poi invitato a parlare a Firenze al convegno di Libertà e Giustizia per il 70 anni del referendum istituzionale del 2 giugno ’46 nientepopodimeno che accanto a Settis e Zagrebelsky; Nicholas Ferrante, che qualche tempo fa è salito sul palco di un evento Pd per sferzare la dirigenza, ha ricevuto la prima pagina del Fatto (“Caro Pd, ascolta Nicholas”) e tiene due blog, uno sul Fatto e uno sullo Huffington Post. Per non parlare dell’antesignana, la capostipite, quella Debora Serracchiani assurta allo scranno parlamentare europeo e poi alla presidenza della regione Friuli-Venezia Giulia nonché alla vice-segreteria del Partito Democratico.

Si dirà: sopravviveranno? Qualcuno ce l’ha fatta, con alterne fortune. È un sistema che si auto-riproduce. Dopo il primo intervento arrivano gli inviti, i blog, le interviste, perfino i meme sarcastici del tipo “la sinistra riparta da… Serracchiani/Grancagnolo/Ferrante/Corallo” etc. Poi se c’è stoffa si galleggia o addirittura si emerge, altrimenti si affonda, tornando nell’oscurità. Il meccanismo è identico a quello del Grande Fratello televisivo. Ma se nella prima edizione i ragazzi erano (forse) più ruspanti, oggi un ventenne sa benissimo che se va in tv in orario da telegiornale e sbotta contro i dirigenti del Pd, al 90% verrà ripreso. La chiamerei la strategia di Cavallo Pazzo al Festival di Sanremo. Come per i concorrenti del Grande Fratello, occorre sfruttare la notorietà – sempre più warholiana, dunque sempre più episodica, effimera, evanescente – per afferrare tutto ciò che si può, sapendo che la depressione da riflettore spento è dietro l’angolo.

Che poi Dario Corallo, l’ultimo di questa lunga genia di contestatori, e prima di lui Nicholas Ferrante, e prima di lui Debora Serracchiani avessero ragione può essere, anzi non è affatto escluso. L’ultimo, Corallo, ha senz’altro ragione, e il suo intervento è pienamente da sottoscrivere.

Non è colpa di Corallo se oggi è diventato il ‘Re per una notte’, ma del sistema dei media che lo sta fagocitando. Tuttavia è difficile escludere che Corallo e gli altri non sapessero che cosa sarebbe accaduto recitando la parte in commedia del giovane contestatore del gruppo dirigente che “ha fallito”. A mio avviso lo sapeva Serracchiani, lo sapeva Ferrante, lo sapeva Corallo. Al quale ha risposto il blasta-antivaccinisti Roberto Burioni. Infatti Corallo ha avuto l’ardire – assai studiato, a mio avviso, vista la reattività social del bersaglio – di attaccare quei dirigenti che si divertirebbero a “bulleggiare come un Burioni qualsiasi” coloro che invece hanno “espresso semplicemente un dubbio”.

Tuttavia sembrerà strano ma è forte l’analogia tra Corallo e Burioni. Se Corallo è un ‘morettiano’ che sale sul palco e dice che con questi dirigenti non vinceremo mai, come fece Nanni Moretti (il quale tuttavia non aveva alcun bisogno di notorietà, essendo noto di suo), Burioni è uno sgarbiano (da Vittorio Sgarbi) che è assurto mediaticamente alla notorietà non tanto per le proprie competenze da virologo (senz’altro notevoli), ma per il modo di ‘blastare’, insultare, zittire i propri interlocutori, con metodi che ricordano il ‘capra! capra! capra!’ del personaggio televisivo ferrarese.

Dunque Corallo e Burioni per me pari sono.