Domenica pomeriggio, di quelle col cielo ingrigito di noia, che un po’ vorresti fare qualcosa e un po’ dovresti per non sperperare in sbadigli il giorno libero. Un’amica mi propone dello shopping, tra centro e centri commerciali. Altrimenti? Le scarne partite che il campionato-spezzatino ha elargito al tradizionale appuntamento delle 15.00. Quindi accetto.
È un copione classico: vetrina, entriamo, proviamo, “mmm”. Poi, qualche tentativo dopo, la svolta nella sceneggiatura e nelle mie tradizionali convinzioni. Davanti a un paio di scarpe che calzano bene, hanno il colore giusto, un prezzo ragionevole, sono comode e si adattano praticamente a tutto, la mia amica non dice “le prendo” ma prende il telefono e le fotografa. Poi fa altrettanto con la scatola, l’indicazione del modello sul coperchio e il numero sulla suola. “Su Amazon le trovo uguali ma sicuramente a meno”.
Per quanto stereotipata possa sembrare, questa storia ha una morale di un pragmatismo cruento: il negozio non più luogo dell’acquisto ma enorme salottino prova di un mall grande come il web. La cassa e la busta da passeggio soppiantate da Paypal e dal corriere che domani consegnerà a un prezzo più basso le stesse identiche scarpe scelte in negozio. Che, da parte sua, avrà speso in affitto, giovane commessa, illuminazione, merce, tasse e giorno festivo travestito da lavorativo per niente.
In cambio di 24 o 48 ore di attesa del fattorino, pur spendendo meno la mia amica avrà ottenuto esattamente ciò che cercava, compresa l’adrenalina dello shopping e la soluzione a una domenica un po’ così. Il suo ha tutta l’aria di un modus operandi consolidato e chissà quanto diffuso.
Probabilmente, infatti, c’è un po’ di questa sprezzante condotta anche nei recenti dati Istat in tema di commercio. Senza giri di parole: “A luglio 2018 un +13,6% su luglio 2017 per le vendite online mentre il commercio tradizionale segna un -0,6% complessivo delle vendite in valore e un -1,8% in volume”.
Peccato però che intanto l’Italia sempre sul pezzo dibatta e si batta per le chiusure domenicali. Disputa corretta ma non quella che dovremmo fare in questo momento per aiutare davvero il commercio e i suoi lavoratori. A dirla tutta, ci sarebbe anche da discutere sul come svincolarsi da concessioni e penali, approvate un decennio fa un po’ dovunque, che oggi permettono a centri commerciali di fiorire già appassiti, rimpianti per chi li ha approvati e sotto sotto anche per chi li ha proposti.
Il modello è cambiato, l’Italia è cambiata, il mondo è cambiato: lo capiremo sbattendoci contro, come al solito. Intanto godiamoci la settimana del Black Friday, e chi se ne frega se i lavoratori senza volto e diritti dell’ecommerce lavoreranno di notte e di domenica.