Il gruppo femminista e i rappresentanti del Carroccio sono tornati a discutere sull'interruzione di gravidanza nella città dichiaratamente 'pro vita'. "La pillola non è una caramella", hanno commentato i leghisti. "Le informazioni servirebbero innanzitutto ai consiglieri", ha risposto il movimento
Una semplice campagna informativa ha riacceso il dibattito sull’aborto a Verona, la città dichiaratamente ‘pro vita’ nella quale il 5 ottobre scorso è stata approvata in consiglio una mozione a firma leghista contro l’interruzione di gravidanza. A scatenare le polemiche un’attività del movimento femminista “Non una di meno” che lo scorso sabato, fuori dal liceo Messedaglia e alla stazione ferroviaria, ha distribuito delle bustine contenenti caramelle e materiale informativo sui metodi contraccettivi e sulla legge 194.
“La pillola non è una caramella”, ha commentato la consigliera del Carroccio, Anna Grassi. “È inaccettabile che venga veicolato un messaggio che associa un farmaco a una caramella. La pillola del giorno dopo è un farmaco a tutti gli effetti che ha controindicazioni e effetti sul fisico di una ragazza. Non è così che si fa prevenzione”, ha detto la leghista subito spalleggiata dal collega Alberto Zelger che ha rimarcato la funzione abortiva della pillola. Il consigliere ha poi ricordato al quotidiano locale l’Arena come proprio a Verona Federfarma abbia rilevato un incremento del 700 percento nell’assunzione di questi farmaci. “La somministrazione della pillola abortiva o di altri tipi di farmaci non è uno scherzo. I giovani hanno bisogno di esempi ed insegnamenti positivi. Inoltre credo che le informazioni mediche le debbano dare i medici”, ha fatto eco ai due il collega di partito e deputato Vito Comencini.
Immediata la risposta del gruppo femminista. “Forse il volantino e le informazioni contenute nel sito a cui si rimanda, servirebbero innanzitutto al consigliere Zelger”, si legge nella pagina Facebook del movimento in cui le attiviste riportano la spiegazione tecnica sulla pillola del giorno dopo della ginecologa Maria Geneth. “La contraccezione di emergenza è, appunto, una contraccezione, non un metodo per l’interruzione volontaria della gravidanza, dal quale si differenzia per principi attivi, tempi di assunzione e meccanismi di azione, come stabilito dall’Agenzia Italiana del Farmaco – dice la professionista – Se c’è una gravidanza in corso, anche iniziale di pochi giorni, si potrebbero prendere 10 Norlevo e la gravidanza resterebbe intatta. Per questo motivo quando si prescrive Norlevo si dice che se nei giorni precedenti ci sono stati altri rapporti non protetti non è garantita l’azione del farmaco”.
“Ricordiamo che il comune di Verona ha da poco approvato una mozione ‘per sostenere la maternità finanziando con soldi pubblici progetti e associazioni legate ai movimenti antiabortisti – si legge ancora nel post – Ricordiamo che la legalizzazione dell’aborto ha dimostrato con i fatti e con i numeri (del ministero della Salute) che l’interruzione di gravidanza non è mai stata un mezzo per il controllo delle nascite. E ricordiamo infine che per prevenire le gravidanze indesiderate vanno finanziati i consultori pubblici, si deve lavorare a favore di una contraccezione gratuita e vanno promossi veri corsi di educazione sessuale nelle scuole. Interventi che un’amministrazione comunale avrebbe il potere di finanziare e di avviare. Da parte nostra, non smetteremo di scendere per le strade, di dare informazioni corrette, di rendere consapevoli le ragazze e i ragazzi sui loro diritti e di creare e aprire spazi di libertà“.
Una legge, quella che tutela il diritto all’aborto, promulgata il 22 maggio del ’78, in difesa della quale si stanno battendo anche quattro ginecologhe che su Change.org hanno lanciato una petizione e un appello alla ministra Giulia Grillo per la piena applicazione della normativa, raggiungendo in pochi giorni oltre 75mila firme.