La proposta della deputata del M5S Mirella Liuzzi è tra quelle segnalate in commissione Bilancio alla Camera. Dove i lavori potrebbero andare a rilento a causa del ritardo che la commissione del Senato ha accumulato sul decreto fiscale collegato, che andrà in aula solo martedì prossimo
Arriva l’annunciata stretta sui petrolieri. O almeno il Movimento 5 Stelle ci prova con un emendamento alla manovra che, nelle intenzioni, porterà nelle casse dello Stato almeno mezzo miliardo in più grazie alla revisione dei canoni delle concessioni. La proposta è tra quelle “segnalate” ma resta da vedere se reggerà in commissione Bilancio alla Camera, dove i lavori potrebbero essere rallentati a causa del ritardo che la commissione del Senato sta accumulando sul decreto fiscale collegato. L’approdo del dl Fisco nell’Aula di Palazzo Madama era previsto per questa settimana, ma è slittato a martedì prossimo. Verrà discusso in un solo giorno, dalle 9 alle 21.
“L’aumento dei canoni è una misura non più rinviabile di giustizia sociale”, ha spiegato la deputata del M5S Mirella Liuzzi, prima firmataria dell’emendamento sulle royalty “per le attività di ricerca, sondaggi, perforazioni, estrazioni e coltivazione di idrocarburi operata dai petrolieri”. “L’emendamento entrerebbe in vigore già dal 1 gennaio 2019 e adegua i canoni agli standard degli altri paesi europei. Vale anche per la Sicilia che vedrebbe il gettito da attività di coltivazione del petrolio passare da 33.217 euro del 2017, ai 13.503.000 del 2019. Con questo emendamento, il permesso di prospezione sismica passerebbe da 3,69 a 2000 euro per chilometro quadrato, quello di ricerca da 7,38 a 3000, quello di ricerca in prima proroga da 14,76 a 5000, quello di ricerca in seconda proroga da 29,52 a 10mila, il permesso di prima coltivazione da 59,04 a 20mila, mentre il permesso di coltivazione in proroga passerebbe da 88,56 a 25mila euro per chilometro quadrato”, continua la deputata pentastellata. In tutto, la modifica “porterebbe a circa 441.297.829,80 euro l’entrata per lo Stato”.
Quanto al decreto fisco, i senatori hanno iniziato martedì a votare i quasi 600 emendamenti con lavori che sono andati avanti a singhiozzo anche per l’ostruzionismo del Pd e i continui interventi di Forza Italia e Fdi. L’esame si è limitato ai primi due articoli registrando poche novità. I temi caldi, dall’integrazione della rete tra Tim e Open Fiber – che la Lega peraltro punta a correggere per evitare “rallentamenti, sulla fibra ottica, vacanza regolatoria, conflitti di interesse e aumenti in bolletta” – alla cancellazione del condono, saranno affrontati più avanti. L’articolo 9 sulla dichiarazione integrativa potrebbe essere sostituito dalla sanatoria per le irregolarità formali, che vale circa un miliardo in due anni, e che ancora non è stata formalizzata. Lo stesso vale per l’allargamento della sanatoria ai tributi locali, a partire da Imu e Tasi. Governo e maggioranza stanno lavorando a una proposta che riunisca i vari emendamenti parlamentari e che dovrebbe consentire ai Comuni di scegliere se aderire o meno alle varie sanatorie, senza però che ci siano oneri per lo Stato. Potrebbe invece non confluire nel decreto il provvedimento sulla giustizia sportiva, perché l’esecutivo starebbe valutando di ritirare l’emendamento.
Sempre nei prossimi giorni sarà affrontato anche il nodo delle case popolari rivendute a prezzi di mercato, sulle quali si è espressa la Cassazione nel 2015: in commissione è stato presentato un emendamento, prima dal senatore Emanuele Dessì poi dal relatore Emiliano Fenu, per “disinnescare questa bomba”, come sostiene lo stesso Dessì difendendo la norma dalle accuse di nascondere un nuovo condono. “Semplicemente offriamo la possibilità di accedere all’affrancazione dal vincolo” del prezzo massimo di vendita “col pagamento di una piccola percentuale” perché non si può “andare a richiedere i soldi dopo dieci anni a chi ha rivenduto a prezzi di mercato una casa acquisita a costo agevolato”. Solo a Roma, peraltro, si tratterebbe di “200mila immobili” a potenziale rischio causa.