Viene meno, dunque, lo sbarramento più importante che enti locali e attivisti hanno provato a mettere all'opera in costruzione nel Salento, il metanodotto che convoglierà il gas dell'Azerbaijan in Italia, passando da Grecia, Albania, mar Adriatico per approdare a Melendugno, nel Leccese, dove i cantieri sono stati avviati lo scorso anno
La superperizia sul gasdotto Tap conferma l’esclusione dell’applicazione della normativa Seveso sul rischio di incidenti rilevanti. Viene meno, dunque, lo sbarramento più importante che enti locali e attivisti hanno provato a mettere all’opera in costruzione nel Salento, il metanodotto che convoglierà il gas dell’Azerbaijan in Italia, passando da Grecia, Albania, mar Adriatico per approdare a Melendugno, nel Leccese, dove i cantieri sono stati avviati lo scorso anno. In mattinata, il giudice Cinzia Vergine ha aperto il plico inviato con corriere lunedì dai periti nominati dal Tribunale nell’ambito dell’incidente probatorio chiesto dal pm Valeria Farina Valori per anticipare la formazione della prova di una delle tre inchieste aperte sul gasdotto, quella che, appunto, deve accertare se ci sia stato un frazionamento artificioso tra il gasdotto Tap e quello di interconnessione Snam (per collegare il primo alla rete nazionale a Brindisi, distante 55 chilometri), se va rifatta pertanto la Valutazione di impatto ambientale e se vanno applicate le direttive Seveso.
Nulla di tutto ciò, anche se una Valutazione di impatto ambientale unitaria di massima doveva essere prevista. È quanto mette per iscritto il collegio di periti formato da Fabrizio Bezzo, docente di Impianti Chimici presso l’Università di Padova; da Maria Lionella, ordinario di Tutela del Paesaggio del Politecnico di Milano, e da Davide Manca, del Dipartimento di Chimica sempre del Politecnico. Per Bezzo, pm e presidente della Regione Puglia avevano chiesto la sostituzione, non accordata dal gip, in quanto stretto collega di uno dei consulenti di Tap, Giuseppe Maschio. Quest’ultimo, tra l’altro, nel frattempo è ufficialmente diventato anche referente del “settore Rischi chimico, nucleare, industriale e trasporti” della Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi, dopo la nomina fatta il 16 maggio 2018 dall’allora premier Paolo Gentiloni e divenuta operativa da fine luglio. Nei prossimi giorni, molto probabilmente, il gip fisserà l’udienza per consentire alle parti di procedere all’esame orale dei periti con la collaborazione dei rispettivi consulenti. La loro relazione, con la quale si doveva rispondere a sette quesiti, fissa almeno tre punti cruciali.
Il primo riguarda l’applicazione della normativa Seveso sul rischio di incidenti rilevanti: le prescrizioni vengono escluse, in quanto il terminale di ricezione (Prt), da cui si controlla l’intero gasdotto fino al confine greco-turco, non è qualificabile come “stabilimento” ai sensi del decreto legislativo 105/2015 (direttiva Seveso III). È proprio su questo che c’è stato un grande giallo: nel 2014, è stata la stessa multinazionale, oltre al ministero dell’Ambiente, a definirlo come tale, prima che ministeri dell’Interno e dello Sviluppo Economico procedessero in direzione inversa. Per i periti, stabilimento non è e “non vi è alcun elemento tecnico che possa indurre a una diversa interpretazione del sistema in termini di direttiva Seveso, qualora i due progetti fossero interpretati come opera unitaria o cumulativa o sequenziale”. Inoltre, “non sono state trovate in Italia o in Europa, strutture tecnologiche analoghe al terminale Prt di Tap in cui sia stata applicata una qualche forma di direttiva Seveso”.
Il secondo punto attiene ai quantitativi di gas che verranno accumulati nel terminale di Tap e in quello che sorgerà accanto di Snam: la soglia fissata dalla normativa è di 50 tonnellate, oltrepassate le quali scatta l’applicazione della direttiva Seveso. La stima fatta dai periti arriva a superarla, al contrario di quanto sostenuto dalle rispettive società. Il valore, infatti, varia in base a composizione, temperatura e pressione del gas e oscilla tra le 46 (in linea con quanto detto da Tap) e le 59,4 tonnellate. Poi, c’è l’impianto Snam contiguo: secondo il calcolo aziendale si raggiungono le 45,48 tonnellate, che però per i periti possono lievitare a 58,7. Complessivamente, dunque, nella stessa area stretta tra quattro comuni e 20mila abitanti, si potrebbero superano le cento tonnellate di gas. Ciononostante, i quantitativi hanno il valore di carta straccia ai fini dell’applicazione della Seveso e sempre per il motivo per cui il terminale non è qualificabile come stabilimento.
Il terzo punto, che apre ora la strada a nuovi interrogativi, è se i due metanodotti Tap e Snam dovessero essere considerati come un’unica opera. Nessun obbligo normativo c’era in tal senso per quanto attiene la progettazione tecnico ingegneristica e per la materia relativa al rischio industriale. Ma c’è un però: se dal punto di vista amministrativo si poteva procedere separatamente, sotto il profilo della valutazione ambientale-paesaggistica “avrebbe dovuto essere predisposta parte dello studio con la finalità di una valutazione complessiva dell’opera fino alla connessione con la rete nazionale, con un approccio almeno di massima; oppure avrebbero dovuto essere trovate altre soluzioni per giungere allo stesso risultato tecnico“.