C’è una proposta di riforma dei pronto soccorso pronta dal 2014 ma ancora nel cassetto del ministero della Salute. Partorita da un gruppo di lavoro formato dai rappresentanti delle regioni e delle società scientifiche dell’emergenza, dai dirigenti del ministero e di Agenas, non è mai arrivata alla Conferenza Stato-Regioni per l’approvazione finale. Si tratta, in pratica, di due documenti, uno sull’aggiornamento delle linee guida del triage (il momento dell’accoglienza e della valutazione della condizione clinica del paziente da parte dell’infermiere), datate ormai al 2001, e l’altro sulle prime linee di indirizzo nazionali sul funzionamento dell’osservazione breve intensiva (obi), l’area adiacente al pronto soccorso dove il paziente sosta per un’ulteriore osservazione clinica. Ora il ministero vuole approvare un nuovo piano e inviare tutto il pacchetto alla Conferenza Stato-Regioni, ma in quattro anni la situazione è peggiorata: all’appello mancano più di mille medici di pronto soccorso, mentre i posti letto continuano a calare drasticamente (-75mila dal 2000 al 2016). Con il rischio che la riforma, pensata per migliorare il servizio e accorciare i tempi di attesa, non veda mai la luce.
Via i colori, nuovi codici numerici – Il tavolo di esperti del 2014 ha stabilito innanzitutto di sostituire i codici colore (bianco, verde, giallo e rosso), attribuiti al paziente in base alla gravità per determinare la priorità di accesso alla visita medica, con codici numerici, da 1 a 5. Il codice 1 riguarda le emergenze, cioè quando il paziente è in pericolo di vita, e obbliga a un trattamento immediato. Il 2 è per le urgenze, per i casi in cui c’è un possibile pericolo di vita, con accesso entro 15 minuti. Il 3 è per le urgenze differibili (assenza di rischi evolutivi delle condizioni del paziente ma necessità di prestazioni complesse) da gestire al massimo entro un’ora. Il 4 per quelle minori, che richiedono prestazioni più semplici entro due ore. Infine, il 5 per i casi non urgenti (gli attuali codici bianchi), da trattare nell’arco di quattro ore. E il tempo dalla presa in carico del paziente al triage alla conclusione della prestazione di pronto soccorso non deve superare le 8 ore. Mentre l’invio del paziente in obi deve avvenire entro sei ore e la permanenza non può sforare le 36 ore. Tempi ideali, chiaramente: oggi il personale è sotto organico e i pazienti rimangono parcheggiati in pronto soccorso anche cinque giorni perché i reparti sono strapieni.
Arriva il nuovo piano – Mentre gli anni passavano, con la riforma sempre ferma nel cassetto, l’emergenza cresceva. Con lei la necessità di un Piano per la gestione del sovraffollamento che il ministero della Salute ora ha affidato a un nuovo gruppo di lavoro: rappresentanti delle regioni, Cittadinanza attiva, ministero e Agenas, guidati da Andrea Urbani, il direttore generale della programmazione sanitaria. Lo stesso Urbani sottolinea: “Il gruppo potrà rivedere e casomai integrare i documenti sul triage e Obi”. Documenti pronti appunto da quattro anni ma che nel frattempo potrebbero essere già scaduti. In che modo gli esperti ci metteranno mano non è dato saperlo, visto che il gruppo non si è ancora mai incontrato, nemmeno una volta. Il ministero scrive che “si insedierà nelle prossime settimane”. Una volta sfornato il piano, tutto il pacchetto verrà finalmente inviato alla Conferenza Stato-Regioni.
“Buchi nel personale e carenza posti-letto”: così la riforma non parte – Beniamino Susi, direttore del Pronto soccorso a Tor Vergata (Roma), ha partecipato alla stesura delle nuove linee guida e avverte che “con il personale ridotto all’osso e il taglio dei posti letto la riforma sarà difficile da attuare”. Secondo una stima di Simeu (la società italiana di medicina d’emergenza-urgenza), all’appello mancano più di mille medici di pronto soccorso. E i bandi vanno quasi deserti. Perché dalle scuole non escono abbastanza specialisti e perché, per i turni massacranti e il ruolo di grande responsabilità, in molti rinunciano a questa carriera. Tanto che in alcune regioni, come il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, hanno dovuto appaltare a cooperative esterne (con medici a gettone) il reparto dedicato all’emergenza. Se prima dunque non si risolve “il buco di personale” e la carenza di posti letto (oltre 75mila in meno dal 2000 al 2016, cioè 3,1 ogni mille abitanti, addirittura sotto lo standard dei 3,7 indicato nel dm 70 del 2015) i tempi di marcia previsti dalla riforma saranno inattuabili. Lo ha ribadito in una nota anche l’Anaao, il sindacato dei medici e dirigenti del Ssn. “Gli accessi inappropriati al pronto soccorso dipendono dal fallimento dei servizi territoriali, lacunosi o assenti del tutto – commenta Susi -. Arrivano infatti pazienti cronici che hanno uno scompenso, diabetici o cardiopatici che non riescono a seguire le terapie, malati di Alzheimer senza supporti sociali, o anche malati oncologici che non hanno accesso alla terapia del dolore e muoiono in pronto soccorso”.
Perché la riforma: seguire i sistemi più avanzati – I tempi calcolati nelle nuove linee guida partono dalla presa in carico del paziente al triage. “Al paziente con dolore toracico in attesa di vedere un dottore – spiega il medico – l’infermiere mette l’ossigeno, fa l’elettrocardiogramma e il prelievo di sangue: queste attività faranno parte del percorso di trattamento da inserire nella cartella”. Susi specifica poi che “la classificazione dei pazienti secondo 5 livelli numerici è usata nei più avanzati sistemi mondiali, quello canadese, australiano, il Manchester inglese e l’Esi americano. E dal momento che oggi il 60/70 per cento degli accessi è rappresentato dai codici verdi, permetterà di individuare dentro questo calderone quei casi che sembrano meno gravi ma che in realtà mascherano patologie importanti”.
Le altre novità: “see and treat” e “fast track” – Tra le altre novità introdotte nei citati documenti, per snellire le code c’è il percorso “see and treat”, che prevede la totale gestione del paziente con problemi di salute minori da parte dell’infermiere adeguatamente formato. E il “fast track”: dopo la valutazione dell’infermiere il paziente non grave viene inviato immediatamente dallo specialista di cui ha bisogno (dermatologo, oculista, gastroenterologo, ginecologo, ecc) senza passare dal medico di pronto soccorso. “Serviranno quindi anche investimenti per l’adeguamento dei software e la formazione del personale”, fa presente Susi.