Il mite premier socialista Pedro Sánchez ora mostra i denti, minaccia il veto della Spagna sull’accordo generale per la Brexit tra l’Unione europea e la Gran Bretagna. Il testo del Draft Agreement inviato ai 27 Stati membri potrebbe ricevere il placet dei rispettivi ambasciatori europei, tuttavia restano nodi da sciogliere. Uno di questi è la questione Gibilterra, il piccolo promontorio (conosciuto come el Peñón) che corre lungo 12 chilometri di costa. La Spagna vuole vederci chiaro, teme che quel lembo di terra d’Oltremare della corona britannica, inserito dall’Onu nella “lista dei territori non autonomi”, diventi a breve parte integrante del Regno Unito. L’esecutivo di Madrid è convinto che il capo negoziatore della Ue, il francese Michel Barnier, non possa garantire le aspettative iberiche sul Peñón. Un accordo globale tra Theresa May e l’Unione potrebbe favorire, in un futuro nemmeno lontano, il definitivo assoggettamento del promontorio alla sovranità britannica.

Il governo socialista chiede di stralciare il “dossier Gibilterra” dall’articolata intesa sulla Brexit per avviare in una fase successiva una discussione bilaterale, una sorta di riedizione dell’Accordo di Córdoba, trattato stipulato nel 2006 quando – dopo due anni di trattative – si riunirono attorno a un tavolo la Spagna, il Regno Unito e, per la prima volta, i rappresentanti del possedimento oggetto della contesa, nella veste di parte indipendente. La storica intesa di 12 anni fa consentì di ammorbidire antiche tensioni tra i due Paesi, con risoluzione di questioni pratiche della vita quotidiana: una migliore estensione della rete telefonica con un prefisso autonomo per l’istmo, meno rigore nei controlli di frontiera lungo il passaggio de la Verja da parte della guardia civil, maggiori garanzie pensionistiche per i lavoratori spagnoli operanti nel promontorio. E poi una delle vertenze più spinose: l’aeroporto. Sulla diatriba per l’aerodromo si consumò uno dei più bizzarri successi della diplomazia: il terminal fu trasferito in prossimità della linea di frontiera, dal centro della struttura venne installata una passerella sospesa collegata al territorio spagnolo, uno spazio di mezzo creato per consentire i controlli doganali della polizia iberica.

Pedro Sánchez ora vuole preservare per sé e per l’esecutivo le prerogative sul “dossier Gibilterra”, né vuole vedere sminuiti i progressi conseguiti negli ultimi anni sul terreno politico. Sono quattro i memorandum bilaterali aperti: uno tende a proteggere i circa 12mila transfrontalieri spagnoli che lavorano nel promontorio, un altro sul tabacco impegnerebbe le autorità dell’istmo ad aumentare il prezzo per rendere meno appetibile il contrabbando verso la Spagna. Un terzo memorandum attiene le questioni ambientali (la Spagna accusa spesso l’istmo di sversamenti illeciti) e un quarto, il più conflittuale, disciplina la cooperazione doganale e fiscale. I trattamenti tributari privilegiati della colonia attirano migliaia di imprese spagnole – se ne contano più di 55mila – le quali, di fatto, mantengono i principali interessi nella penisola.

Gibilterra è da sempre in un limbo giuridico, un “territorio non autonomo” per il diritto internazionale, con politica estera guidata da Londra e con numerose deroghe rispetto ai precetti comunitari, soprattutto in campo doganale e fiscale. Un’indeterminatezza che ha creato non pochi conflitti tra i due Paesi, i quali si sono guardati con diffidenza durante la convivenza sotto il tetto della Ue, mentre i partner europei osservavano con distacco la contesa territoriale preferendo una fredda politica di equidistanza. Madrid ha obiettivi chiari: da una parte vuole mantenere aperta la trattativa con Londra giocando la partita dei memorandum ancora da discutere, dall’altra coltiva la speranza di ottenere un sostegno convinto dai soci europei, ora che l’isola di Albione si allontana dal continente.

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