Ultimamente ho letto un sacco di libri bellissimi, di cui prometto di occuparmi al più presto su questo spazio, anche perché il Natale incombe, e spero di poter suggerire qualche dono. Ma non è questo il giorno. Oggi vorrei invitare i frequentatori di questo mio piccolo spazio a riflettere. Molti miei interventi dell’ultimo anno su questo blog hanno infatti cercato di dare risalto a libri dedicati al dramma dei rifugiati, alla perdita dell’empatia, ai futuri distopici. Non solo per mia scelta, ma anche come risposta a un certo moto editoriale che, nel recente passato, ha promosso questi temi con uscite dedicate e approfondimenti di vario genere.
Durante la conferenza stampa di apertura della prossima edizione di “Più Libri Più Liberi“, gli organizzatori spiegavano che – senza bisogno di impegnarsi troppo – si erano trovati a convenire sul fatto che, proprio per rispondere a questo movimento spontaneo, fosse opportuno rimettere al centro del programma proprio l’essere umano, attraverso la sfida di un nuovo umanesimo, inteso come la riaffermazione di quell’humanitas che dovrebbe essere caratterizzata dalla solidarietà tra popoli e persone, nel rispetto non soltanto nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ma soprattutto come riaffermazione della nostra comune appartenenza alla razza umana.
Potrebbero sembrare ovvie banalità, ma non è così. Abbiamo visto i bambini affogati sulle coste europee, i figli dei clandestini messicani ingabbiati nei centri americani, i nostri giovani uccisi ancora dall’eroina. E in tutto questo orrore prendere sempre più piede un esplicito rancore verso l’altro, il diverso, lo straniero. Il razzismo strisciante si è alzato in piedi e ha preso posto nel cuore della gente. Sfruttando i social come cassa di risonanza, certe persone abiette hanno fatto leva sulla paura per accrescere il loro consenso. Un metodo vecchio, diffuso, e purtroppo sempre molto efficace. Ma non tutto è perduto.
Esistono, ed esisteranno sempre, persone buone o disposte a migliorare sulla base di corretti esempi. Ed è qui che volevo arrivare. Esattamente cinquant’anni fa, il 22 novembre del 1968, per la prima volta nella storia americana la televisione mandò in onda un episodio di Star Trek, la serie televisiva di fantascienza più famosa di tutti i tempi, destinato a entrare nella leggenda. Nell’episodio Umiliati per forza, una squadra formata da alcuni membri dell’equipaggio dell’Enterprise viene teletrasportata sul pianeta Platonius per portare cure mediche a Parmen, capo dei platoniani. Questi alieni, oltre a vivere secondo regole ispirate dalle idee del filosofo greco Platone, hanno sviluppato dei potentissimi poteri psicocinetici. Dopo avere guarito il leader autoctono, Kirk, Spock e gli altri membri della squadra si apprestano a tornare sull’astronave ma, per un capriccio dell’irriconoscente Parmen, sono costretti a restare, per non abbandonare alla prigionia il dottor McCoy che Parmen ha nominato suo medico personale.
Non contenti di questo vero e proprio rapimento, i platoniani decidono di divertirsi alle spalle dei loro prigionieri e, usando i loro poteri, li costringono ad azioni contrarie alla loro volontà. Così, dopo un’eroica resistenza, il capitano Kirk è costretto a baciare la bella tenente Uhura, interpretata nella serie da un’attrice di colore. Questo bacio interrazziale di mezzo secolo fa ha lo stesso effetto di una bomba atomica sull’opinione pubblica. Gli Stati Uniti nel 1968 non hanno ancora superato molte delle contraddizioni legate al razzismo. Un anno prima in Virginia una coppia di sposi viene arrestata perché rea di avere violato la legge sui matrimoni interrazziali, ancora proibiti in molti Stati dell’unione, sebbene nel 1965 fossero state promulgate delle leggi che avrebbero dovuto garantire il superamento delle distinzioni in ambito amministrativo tra bianchi e neri.
In quegli anni i suprematisti bianchi del Ku Klux Klan, oggi apertamente a sostegno di Donald Trump, si macchiano di crimini indicibili, come l’attentato dinamitardo a una chiesa battista in cui perdono la vita quattro ragazze di colore, mentre i bambini neri finalmente ammessi nelle scuole statali vedono i genitori dei loro compagni bianchi protestare contro la loro presenza, facendo loro disertare le lezioni. Insomma quel bacio tra Kirk e Uhura, pur ambientato in un remoto futuro, spettacolarizzato e forzato segna comunque un punto fondamentale nello sdoganamento di un certo modo di intendere la realtà. In fondo il capitano Kirk, pur nella sua teatralità giallo oro, rappresenta un personaggio positivo, giusto, responsabile e rispettoso delle regole.
Il suo esempio diventa più o meno volontariamente impegno, e poco importa se, molti anni dopo, si è venuto a scoprire che non è stato il primo bacio interrazziale televisivo, primato che spetta a Hot Summer Night, uno sceneggiato televisivo inglese del 1959. Star Trek ha ben altro appeal e il bacio di Kirk e Uhura diventa indimenticabile. Ora, il mezzo secolo che ci separa da questo bacio ha avuto la durata di un millennio su molte delle nostre questioni quotidiane, e non possiamo permettere che le conquiste, i diritti acquisiti e i passi avanti fatti dalla società umana siano messi in discussione da una minoranza impaurita e ignorante. Solo l’amore e l’inclusione possono impedirci di tornare indietro e permetterci di arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima. Lunga vita e prosperità.