Rubavano e vendevano quintali di cozze alla diossina, coltivate nel mare di Taranto, non depurandole prima della commercializzazione su tutto il territorio nazionale. Con questa accusa 7 persone sono state arrestate su ordine del gip del tribunale jonico, Giuseppe Tommasino, al termine di un’indagine condotta dalla Capitaneria di porto.
Secondo quanto ricostruito nel corso dell’inchiesta, condotta prima dalla pm Giovanna Cannalire e poi dalla pm Daniela Putignano, i prodotti ittici contaminati anche da policlorobifenili e soggetti a vincolo sanitario, quindi altamente nocivi per la salute pubblica, veniva venduti mediante false certificazioni. Il blitz ha visto coinvolte più di cinquanta militari della guardia costiera, con il supporto di mezzi navali ed aerei.
Alle sette persone arrestate – due in carcere, cinque ai domiciliari – vengono contestati, a vario titolo, i reati di furto, ricettazione, distribuzione e successiva commercializzazione di prodotti contaminati. Per gli investigatori era stata creata una vera e propria “filiera parallela” da parte di persone con precedenti penali “anche consistenti”, circostanza che – è stato spiegato durante una conferenza stampa – ha portato a una scarsa collaborazione da parte di persone informate sui fatti.
L’indagine è partita in seguito alle denunce per furto di alcuni mitilicoltori del mar Piccolo e del mar Grande di Taranto, aree nelle quali sono in vigore alcune norme che prevedono il trattamento delle cozze prima della loro immissione in commercio a causa dei livelli di inquinamento da diossina. I sette avrebbero invece messo in vendita i mitili su tutto il territorio nazionale con false certificazioni che ne accertavano la depurazione.
Nello specifico, alcuni degli arrestati si occupavano di organizzare i furti e la vendita dei beni sottratti, le operazioni di trattamento, sgranatura dei pergolati di mitili facendone così perdere la tracciabilità, data dalla colorazione della retina scelta da ogni miticoltore, nonché di consegna del prodotto confezionato in sacchi del peso di 10 chili l’uno agli “acquirenti di fiducia”, previa prenotazione telefonica del quantitativo richiesto. Ulteriori indagini hanno portato alla luce, inoltre, la vendita del prodotto in due centri di spedizione all’ingrosso di Taranto che provvedevano ad etichettare come proprio, il prodotto in questione, “sanandone” di fatto la provenienza.