Sono 49.152 le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza nel 2017. Tra loro, 29.227 hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza. Il 27% dei centri pubblici ha però difficoltà ad accoglierle per mancanza di posti. Tra le 4.400 operatrici, il 56,1% è stato impegnato esclusivamente in forma volontaria. E’ quello che emerge dalla prima indagine dell’Istat su questi servizi, condotta in collaborazione con il dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio, le regioni e il Consiglio nazionale della ricerca. I dati forniti da 253 centri (sui 281 che erano stati contattati) mostrano che il numero medio di donne prese in carico dai centri è massimo al Nord-est (170,9) e minimo al Sud (47,5). Più di un quarto delle donne che chiedono aiuto, il 26,9%, sono straniere, e il 63,7% ha figli, minorenni in più del 70% dei casi.
I centri forniscono in prevalenza servizi di ascolto e accoglienza, supporto legale, orientamento e accompagnamento ad altri servizi, supporto psicologico, aiuto nel percorso di allontanamento dal partner violento, orientamento lavorativo, sostegno all’autonomia. In alcuni casi il servizio è fornito direttamente dal centro, in altri dal centro in collaborazione con i servizi sul territorio. In altri ancora il centro indirizza la donna ad altri servizi. La maggior parte dei centri, l’85,8%, lavora in rete con altri enti della rete territoriale e quasi tutti, il 95,3%, aderiscono al numero verde nazionale 1522 contro la violenza e lo stalking. Il 68,8% ha messo a disposizione una reperibilità 24 ore su 24, il 71,1% ha attivato un servizio di segreteria telefonica negli orari di chiusura e il 24,5% possiede un numero verde dedicato.
Le figure professionali maggiormente presenti sono le avvocate, le psicologhe e le operatrici di accoglienza. Il 93% dei Centri antiviolenza prevede una formazione obbligatoria per le operatrici che sono impegnate presso il centro. Nell’85% dei casi è il centro stesso che ha organizzato corsi di formazione per il personale.