Un grido disperato, d’aiuto, mai ascoltato. Questo emerge dalle parole di Silvia Fojticova, slovacca di 39 anni, madre del piccolo Marco, di 11 anni, morto soffocato nella propria cameretta a Mantova il 22 novembre in un incendio appiccato dal padre. La donna, da una stanza dell’ospedale Oglio Po di Casalmaggiore, ricostruisce l’accaduto ai giornalisti del Corriere della Sera e racconta delle svariate denunce e di quando spesso, al telefono, si è sentita rispondere “Signora, deve portare pazienza…”.
“Marco non è venuto con noi in macchina perché voleva giocare con la Playstation nella sua cameretta. ‘Voglio stare in pace senza ascoltare i capricci dei miei fratelli’ mi ha detto con un sorriso. È l’ultima immagine che ho di lui…”, dice Silvia. Comincia da quel che è successo in via Tasso 2, a Sabbioneta, davanti alla villetta in cui, lasciando una dimora protetta, era rientrata da pochi giorni dopo che il gip di Mantova aveva intimato al marito violento di stare almeno 100 metri lontano da quella casa. Una misura troppo lieve secondo la Procura che, dice l’Ansa, aveva chiesto un provvedimento più pesante visto il fenomeno, in crescita, della violenza famigliare. “Invece me lo sono ritrovato davanti mentre guidava il suo furgone. Aveva già dato fuoco a casa nostra ma non potevo saperlo – continua Silvia – Io stavo rientrando dopo aver accompagnato Alex (il primogenito 17enne ndr) a giocare a calcio all’oratorio di Cicognana, un paesino qui vicino. Mio marito ha fatto per centrarmi e io l’ho schivato una prima volta gridando ‘oddio! Il bambino!'”. Accanto alla madre, in macchina, c’era infatti il terzo figlio, Fabio, di appena tre anni. “Poi mi ha inseguito, fermando il muso del camion a trenta, quaranta centimetri dalla mia macchina, costringendomi a frenare. Ha accelerato ancora, colpendo uno sportello ed è scappato”. “Non so se mio marito sapesse che Marco era nella cameretta – prosegue – . So che sapeva che nel pomeriggio i ragazzi stavano spesso tutti in casa. Se voleva dare fuoco alla villa perché non l’ha fatto di mattina, quando erano a scuola?”.
Poi Silvia, sposata dal 2002 con lo stesso uomo violento dal quale aveva chiesto la separazione, è uscita dall’auto, ha chiamato i carabinieri, ed è corsa disperata verso casa. Non era la prima chiamata d’aiuto che faceva alle forze dell’ordine. Già dopo la denuncia per maltrattamenti depositata luglio, aveva fatto numerose telefonate, molte delle quali inascoltate, secondo la donna. “Nell’entrare mi sono accorta che stava uscendo del fumo, un gran fumo, dal piano di sopra e mi sono ricordata con terrore di quante volte mi aveva minacciata dicendo che avrebbe bruciato casa con noi dentro, ‘tutti e quattro’ – racconta – Ho aperto la porta, ho cercato di raggiungere la cameretta di Marco ma salire le scale era impossibile, un muro di fumo, non si respirava”. Nonostante l’arrivo dei pompieri, per Marco non c’era niente da fare. “Lui non si è neanche accorto di quello che è successo”, dice ancora Silvia.
Il racconto poi si sposta sulla violenza, reiterata, di Gianfranco Zani, artigiano di 52 anni. “L’ho scoperto nell’ultimo anno, quando ho deciso di lasciarlo. Prima era aggressivo, ma non a questi livelli”, spiega Silvia che descrive il ‘classico’ marito violento. Botte alla moglie e ai figli, Alex e Marco, che cercavano di difenderla. Il maggiore colpito con la cassa dello stereo, il piccolo Fabio fatto cadere dal seggiolone dopo aver sfasciato la cucina. Ma non solo, anche minacce con coltelli e corse al pronto soccorso, per farsi curare. “Un uomo sempre ubriaco, notte e giorno“, conclude Silvia. Gli avvenimenti sono descritti, si legge sempre sul Corriere, nell’ordinanza di allontanamento firmata il 15 novembre dal gip Gilberto Casari. Lo stesso giorno in cui il tribunale dei minori aveva stabilito il trasferimento di madre e figli in una dimora protetta, dove, però, Silvia è rimasta solo tre giorni.
Ora Zani è in carcere a Cremona, in attesa della convalida del fermo. L’accusa è di omicidio volontario. Assistito dall’avvocato Fabrizio Vappina, nega di aver appiccato il rogo. Intanto i figli e la moglie sono ricoverati sotto shock. In ospedale rimarranno ancora alcuni giorni, poi si deciderà se farli tornare a casa o affidarli ad una struttura protetta.