La foto sul tavolo è ingiallita dal tempo. Filippo e Teresa hanno ancora i capelli scuri. Quattro figli a poca distanza di età, stretti in un unico scatto. Oggi, 72 e 70 anni ciascuno, cinquant’anni tra quelle mura piene di crepe, al sesto piano di viale Archimede 12, a Bari. Stesso isolato del palazzo della morte, dove 21 persone si sono ammalate di neoplasie rare a partire dalla metà degli anni Novanta. Tutte, secondo le indagini della procura, attribuibili al ruolo dannoso della vecchia discarica a pochi metri dallo stabile e chiusa nel 1971, ma messa in sicurezza definitivamente dal 1989 e al 1997. All’indomani della decisione del pm di chiedere l’archiviazione dell’inchiesta perché non è possibile perseguire i responsabili e perché non c’è più un pericolo, in via Archimede il tempo sembra essersi fermato.

“Noi la paura di morire la respiriamo da anni. Mio figlio ha 52 anni, si è ammalato da tre. Anche mia nuora che viveva qui con la sua famiglia ha avuto un tumore”. La lista di Teresa non si ferma. Anche il figlio più piccolo ha un tumore al piede. “Stiamo combattendo insieme”, racconta. Filippo è sulla sedia a rotelle, ma per altre ragioni. Non sono gli unici a combattere contro il peggiore dei mali. Nello stesso palazzo, la conta di vedove e orfani, è lunga. Almeno nove. Qualcuno combatte ancora. Qualcun altro ha cambiato casa, ma non tutti possono permetterselo. Cecilia vive con la nuora e con una bambina di 6 anni. Suo figlio ha un tumore. Anche le crepe in casa fanno paura. “Uno di questi giorni qualcuno si farà male”, dice. Una perizia dei vigili del fuoco, datata 2015, dichiara la necessità di interventi urgenti. Ma le crepe sono ancora là. Assieme alla precarietà di tutto lo stabile.

“Vedevo i fuochi alti durante il giorno. Spesso c’era un odore insopportabile, ma non abbiamo mai pensato che ci avrebbero fatto male”, racconta ancora Cecilia. Difficile capire se anche questi tumori siano riconducibili ai fumi della discarica dove si bruciava di tutto, come hanno accertato le indagini: batterie esauste, eternit, carcasse di automobili e vernici. Ecco perché oggi la difesa del Comitato di via Archimede 16 chiede più chiarezza: innanzitutto un esame epidemiologico di tutta l’area e poi documenti rispetto alle modalità di bonifica della discarica, dismessa trent’anni fa.

Secondo il medico legale Davide Ferorelli, la grande preoccupazione è il periodo di latenza della malattia, che può andare anche “da 10 a 40 anni a seconda della tipologia di tumore”: nonostante la bonifica, dunque, i casi di cancro e le neoplasie potrebbero manifestarsi nel prossimo futuro. “Hanno detto in televisione che c’è pericolo anche per noi. E ora abbiamo ancora più paura soprattutto per i nostri bambini. Chissà se rischiano anche loro”. Stavolta a parlare sono tre mamme dello stabile, di un luogo senza via d’uscita per molti e dove la paura della morte serpeggia ancora oggi, anche se i fumi della discarica non ci sono più.

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