Ci sono registi le cui opere spesso si riconoscono da pochi fotogrammi. Bernardo Bertolucci è uno di questi, a testimonianza della sua originalità dietro la macchina da presa i cui ampi movimenti si coniugano con una funzione narrativa della luce, in una poetica resa costante nel consolidato sodalizio con Vittorio Storaro che lavora con lui dal 1970 al 1993. Una particolarità costruita attraverso l’assunzione di più registri stilistici: Roberto Rossellini, la nouvelle vague dei primi anni Sessanta, Akira Kurosawa. Da quest’ultimo trae la vocazione per l’estensione paesaggistica che caratterizza opere come Novecento, Il Tè nel deserto e L’ultimo imperatore. Un artista completo che traduce il suo lirismo in immagini e che riversa sulla pellicola, senza deludere, diverse opere letterarie da Pasolini (La Commare secca) a Moravia (Il conformista), da Borges (La strategia del ragno) a Bowles (Il Tè nel deserto) per citarne solo alcuni.
Bertolucci è autore del soggetto di due opere che hanno segnato la storia del cinema: Ultimo tango a Parigi e Novecento. Due film, realizzati a distanza di quattro anni (1972 e 1976), per molti aspetti antitetici. Nel primo, i personaggi vivono nella negazione del passato e quasi senza legami con l’ambiente esterno (Paul, interpretato da Marlon Brando, è un uomo sradicato) mentre in Novecento è il senso della storia che guida e sovrasta i destini di cui i protagonisti divengono mano a mano coscienti. La pianura emiliana in Novecento è la protagonista perentoriamente fissata, con i suoi campi, i proprietari terrieri che si sentono padroni anche delle persone e i contadini che imparano a far valere i propri diritti.
Nonostante il suo legame elettivo quanto contrastato con l’Emilia, Bertolucci è capace di incunearsi in altri spazi tanto ampi quanto lontani: dal deserto africano alla Cina, senza nascondere una predilezione per Parigi che ricorre in tre film (Il conformista, Ultimo tango a Parigi, The Dreamers). La Francia, letteraria e cinematografica, è parte della sua formazione e delle sue collaborazioni artistiche: Agnès Varda scrive con lui i dialoghi di Novecento, film che fa conoscere al pubblico italiano Gerard Depardieu.
Bertolucci non è mai ammiccante verso lo spettatore, anzi ama spiazzarlo con crudezza: il contadino bambino che bestemmia in Novecento, un eroe antifascista il cui mito è fasullo (La strategia del ragno), la banalità di un’aspirante spia del regime, conformista nel fascismo e nell’improvviso antifascismo (Il conformista), l’insipienza di un padre ignorato da tutti durante il rapimento del figlio (La tragedia di un uomo ridicolo). Eppure, dentro al mondo spietato di Novecento, c’è spazio per una dimensione quasi epica nel tempo lungo del suo protagonista: il contadino socialista Olmo che immagina di sentire il padre mai conosciuto attaccandosi ai pali del telegrafo. Andare oltre, sembra suggerire Bertolucci, sovvertendo in Novecento il finale scontato della morte del padrone resa dilemmatica e poi scongiurata in nome della litigiosa amicizia tra Olmo e Alfredo: ma ciò che si stempera non sfocia mai nel banale.
Andare oltre per Bertolucci è raccontare il sesso: nessuno è riuscito a farlo come lui. Il sesso è un’ossessione inseguita da Marcello ne Il conformista, la cui fedeltà al fascio littorio è distratta dall’attrazione verso le donne. Il sesso è rappresentato come scoperta di sé e del mondo (Io ballo da sola), ma è anche colto nel suo aspetto parossistico e annientante di Ultimo tango a Parigi. Un po’ troppo per l’Italia bacchettona del “si fa ma non si dice”, che in quel film scambia la ricerca di un sé che non si trova per mera pornografia. Con un inopinato salto all’indietro, il 29 gennaio 1976 la magistratura ordina il rogo di tutte le copie esistenti di Ultimo tango a Parigi, un metro non seguito dall’American Film Institute che invece lo inserisce “tra i cento migliori film sentimentali di tutti i tempi”.
Bertolucci è anche l’uomo dell’incontro dei mondi e delle religioni – si pensi al Piccolo Buddha – la cui messa in scena mostra l’elevato profilo spirituale di un ateo. Al di là dei premi che ne hanno impreziosito la carriera, Bertolucci è un classico. Parlerà ancora, per molto tempo.