Fare il cacciatore di bufale su Internet non mi appassiona. Ma qualche precisazione può però essere utile per i risparmiatori italiani, preoccupati – in parte a ragione e in parte a torto – per i Btp Italia e gli altri titoli del Tesoro.

1. Circola la storiella che essi siano diventati meno sicuri da quando (2013) i regolamenti contengono le cosiddette Cacs, che permetterebbero di peggiorarne ad arbitrio le condizioni. Non è vero niente. Tali clausole, presenti nei titoli di Stato di tutta l’Eurozona compresi quelli tedeschi, non mirano affatto a facilitare una sospensione dei pagamenti, un taglio degli interessi, un rinvio delle scadenze o addirittura un default. Cose brutte che sono accadute e accadranno indipendentemente da esse: hanno fatto crac tanto l’Argentina quanto l’Ecuador senza le Cacs. Idem per la Grecia, che le ha introdotte forzosamente a default già deciso. Si veda quanto scrive nel suo sito Mario Seminerio, con cui ci alterniamo nella rubrica del lunedì Micro&Macro.

Le Cacs, internazionalmente molto diffuse, permettono a una maggioranza qualificata di possessori (per esempio il 75%) di accettare modifiche peggiorative. Ma le Cacs non sono affatto rivolte contro i risparmiatori, bensì contro i fondi avvoltoi o simili. Il loro fine, per nulla vessatorio, è l’uguale trattamento di tutti gli obbligazionisti, che nei fallimenti si chiama par condicio creditorum, obiettivo ampiamente condivisibile. Nessun motivo di stare lontani dai titoli di Stato italiani (o tedeschi!) per la presenza delle clausole Cacs, che non aumentano neppure dello 0,001% la probabilità di rimetterci. D’altra parte le obbligazioni Astaldi 7,125% 2020 da 100 euro sono precipitate sui 25 e le Cmc Ravenna 6% 2023 sui 15 euro, in assenza di Cacs, subordinazione, bail-in ecc.

2. Si sente anche dire che il risparmiatore deve preoccuparsi per la solidità della banca dove sottoscrive, acquista o tiene in deposito i suoi Btp o altri titoli. Per cui non dovrebbe sottoscrivere titoli come i Btp Italia presso banche che teme poco sicure. Non è vero niente. Né bail-in, né risoluzione, né liquidazione ecc. di una banca toccano i titoli dei clienti nei cosiddetti conti d’ordine o di terzi. Né i loro Btp ecc. sono stati coinvolti nei crac delle quattro banche del Centro-Italia (Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria ecc.) o delle due famigerate banche venete (Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca). Il carrozziere può fallire, ma i creditori non potranno certo ottenere il sequestro della mia automobile in riparazione nella sua officina. Per ogni singola banca i rischi riguardano i soldi a essa prestati: conti correnti, libretti, conti deposito ecc. e le sue obbligazioni o certificati. Non i Btp Italia, che sono debito del Tesoro e non della banca. Non meritano quindi nessuna attenzione indicatori di patrimonializzazione quali il Cet1 (Common Equity Tier 1).

3. In Rete, ma ancor più sui giornaloni, vengono accusati non meglio precisati speculatori di far scendere Btp, Cct ecc. per ricomprarli poi più bassi. Sono affermazioni prive di prove e comunque poco credibili. A questo ho dedicato la mia rubrica Micro&Macro su Il Fatto Quotidiano di oggi (lunedì 26 novembre). Conclusione: negli investimenti contano e conteranno i fatti sostanziali, non le bufale su Internet o le fantasie complottistiche. Comunque un qualche rischio per i titoli italiani è innegabile, altrimenti renderebbero almeno come i tedeschi. Ma i motivi sono appunto sostanziali, in particolare l’alto debito pubblico, che non permette di escludere lo scatenarsi di un circolo vizioso di aumenti dello spread, ovvero dei tassi, e quindi del debito stesso per la maggiore spesa per interessi. E così via, di peggio in peggio.

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