Calcio

Coppa Libertadores, River-Boca: cronaca di un fallimento. La finale si giocherà non prima di dicembre. Forse in campo neutro

I due giorni che hanno macchiato il calcio argentino, trasformando una festa in una "vergogna deplorevole", parola di Gabriel Omar Batitusta, complicano i piani del Conmebol e mettono in cattiva luce anche il presidente Macri che vorrebbe ospitare le Olimpiadi 2030. Così il match rischia di slittare all'8 dicembre e tra le ipotesi più drastiche non si esclude il confronto all'estero

“Vergogna mondiale”, così titolava Olé, uno dei più importanti quotidiani d’Argentina, all’indomani della guerriglia che ha sconvolto Buenos Aires sabato 24 novembre in occasione del derby fra River Plate e Boca Juniors, finale di ritorno della Coppa Libertadores 2018. Dopo un weekend di polemiche e rinvii, la partita è saltata e martedì 27 novembre si deciderà come e quando recuperarla. Scartato il prossimo fine settimana per l’imminente sbarco nel G20 nella capitale argentina (30 novembre), la data più probabile resta sabato 8 dicembre. Considerando anche la necessità della Conmebol di presentare un campione sudamericano al Mondiale per club previsto per il 18 dicembre. Tuttavia, non è da escludere neppure la possibilità di assistere a un Superclásico lontano dallo stadio Monumental. Trasferito all’estero per motivi di sicurezza. Una simile decisione rappresenterebbe una pesante sconfitta per Macrì e il suo governo, intenzionati a dimostrare proprio con il doppio confronto fra Xeneizes e Millonarios la capacità di gestire grandi eventi e di avanzare la propria candidatura a Paese ospitante per le Olimpiadi del 2030. River-Boca doveva riportare sulla mappa una nazione che ora, invece, rischia di perdere tutto, passando dalle pagine sportive a quelle della cronaca.

Fuori dallo stadio – “Un agguato pianificato: capannelli di teppisti agli angoli e assembramento nei pressi del garage me lo fanno pensare. Ho perso i sensi per qualche istante dopo essere stato colpito da una pietra. Horacio Paolini (vicepresidente del Boca, ndr) era al mio fianco e ha avuto la prontezza di riflessi di afferrare il volante evitando che ci schiantassimo”. Con queste parole l’autista del pullman preso d’assalto dai tifosi del River ha ricordato a Espn gli attimi che hanno trasformato il quartiere Belgrano in una zona di guerra. Sabato 24 novembre, alle 15.20 ora locale, le tribune del Monumental già contavano 50mila presenti quando, a 500 metri dall’impianto, un gruppo di ultras ha iniziato a lanciare sassi e bottiglie in direzione del bus degli Xeneizes. All’interno del mezzo balli e cori hanno presto lasciato spazio alle grida dei giocatori colpiti dalle schegge dei vetri andati in frantumi. Allertati dai pochi colleghi presenti in Avenida Monroe, parte dei duemila agenti mobilitati per l’evento si sono precipitati sul posto impiegando lacrimogeni e spray urticanti per disperdere la folla mentre l’abitacolo del pullman, ormai privo di protezioni, si riempiva di gas. Approfittando del caos, dall’altra parte dello stadio, alcuni supporter privi di biglietto hanno forzato l’ingresso della Tribuna Centenario scontrandosi con la polizia, che ha risposto esplodendo 150 proiettili di gomma e avanzando in assetto anti-sommossa. 

Negli spogliatoi – Sei membri della squadra del Boca Juniors hanno raggiunto la pancia del Monumental in preda ad attacchi di vomito, presentando sintomi d’intossicazione e difficoltà respiratorie. Alcuni frammenti di vetro avevano colpito agli occhi il centrocampista Gonzalo Lamardo e il capitano Pablo Perez, costringendoli al trasferimento in ospedale. Nonostante i giocatori del Boca avessero espresso sin da subito la volontà di non scendere in campo, attorno alle 17.50 i media hanno diffuso un comunicato firmato da quattro medici della Conmebol nel quale si dichiarava la mancanza di motivi validi per sospendere l’incontro. La notizia ha scatenato le ire dei leader boquensi, primo fra tutti Carlos Tevez, che non ha esitato a presentarsi davanti ai microfoni. “Non siamo in condizione. Ci stanno obbligando a giocare, credo che stiano facendo pressioni ai dottori per far giocare questa partita”, ha tuonato l’Apache. Il tecnico rioplatense Marcelo Gallardo si è dimostrato immediatamente solidale con i rivali, manifestando il proprio sostegno alla domanda di rinvio del match e incontrando poi gli avversari per sincerarsi delle loro condizioni. “Dissi alle 4 che non si sarebbe dovuto giocare. Doveva essere una festa del calcio, invece è la dimostrazione di ciò che accade nella nostra società”. 

Sì gioca domenica, anzi no – Alle 19.24, con gli arbitri in campo e il Monumental che intonava cori accusando gli Xeneizes di scarso coraggio, i presidenti di River e Boca, Rodolfo D’Onofrio e Daniel Angelici, e quello della Conmebol, Alejandro Dominguez, hanno ufficializzato il rinvio della partita. Con l’impegno di disputare la finale di ritorno il giorno seguente, a patto che le squadre fossero “in parità di condizioni”. Già nella notte di sabato, tuttavia, i legali del club azul y oro hanno iniziato a lavorare su una bozza di ricorso impostata attorno all’infrazione dell’articolo 18 del regolamento Conmebol, nel quale si prevede la sconfitta d’ufficio per la società incapace di garantire il regolare svolgimento di un incontro. Fondamento di questa richiesta, un Superclásico del 2015, quando il Boca si vide somministrare il 3 a 0 a tavolino per dello spray al peperoncino spruzzato dagli spalti della Bombonera all’indirizzo dei calciatori del River. Il precedente citato, tuttavia, registrava un’aggressione avvenuta all’interno dello stadio e non fuori dagli impianti, discriminante sufficiente per portare la Conmebol a respingere il ricorso e confermare il recupero. A far saltare il banco, però, è arrivato il referto medico del capitano Pablo Perez: campo visivo ridotto e impossibilità di partecipare al match. Venute meno le condizioni di “parità” inserite nell’accordo è dunque arrivata l’ufficialità del rinvio a data da destinarsi

Un problema di civiltà – “Un’altra opportunità persa dinanzi al mondo che ci osserva. Vergognoso, deplorevole”, il commento di Gabriel Omar Batitusta, che in passato ha vestito le maglie di entrambe le metà di Buenos Aires. Amareggiato anche Riquelme (“Sono stanco, stanco di vedere tutto quello che è successo”), mentre Maradona indica come colpevole Mauricio Macrì, definendolo il “peggiore presidente di sempre”. Le cronache del Superclásico sono ferite difficili da rimarginare. Tagli su cui cade il sale dello sciacallaggio consumato nelle vie attorno allo stadio e l’imbarazzo di un intero popolo per una madre intenta a legare attorno alla vita della figlia dei bengala, così da eludere i controlli. Il fenomeno ultras, però in Argentina non è una novità. Nonostante il patron del River abbia ridotto la cronaca alle gesta di “15 disadattati”, infatti, le barras bravas – le frange più estreme e criminali delle tifoserie albicelesti – sono un problema concreto. La Bombonera, tempio del Boca, è governata dai membri della Doce, la curva xeneizes, mentre al Monumental regnano Los Borrachos del Tablòn, il cui leader Hector Godoy era stato arrestato due giorni prima della partita e trovato in possesso di 300 biglietti da rivendere e quasi 200mila dollari in contanti. Come ricordato da un tifoso a Tnt, dunque, la questione è un’altra: “Non importa la religione, la politica, non importa nulla. Cerchiamo di essere civilizzati. Almeno un po’“.

Twitter: @Ocram_Palomo