Cantare ai napoletani “Vesuvio lavali col fuoco” è come urlare “sporco negro” a un calciatore di colore? L’ennesimo tormentone sui cori delle curve che ciclicamente affligge il nostro calcio e nelle ultime giornate è tornato tristemente di moda si risolve tutto in questa domanda. Il problema è che una risposta vera ancora non è stata data. O meglio: per i regolamenti, che parlano di discriminazione di “origine territoriale”, alla pari di quella etnica o razziale, non ci sarebbe dubbio. Le sanzioni – a volte nulle, comunque intermittenti – sembrano invece suggerire il contrario. Mentre l’opinione comune continua a interrogarsi, o forse fa solo finta di nulla.
Il fatto è questo: da qualche giornata si riascoltano con maggiore intensità i soliti cori anti-napoletani. Sabato abbiamo battuto ogni record: i canti si sono sentiti distintamente a Torino dai tifosi della Juventus (che non brillano certo per sportività, ma quanto meno col Napoli hanno una profonda rivalità, anche di classifica), e persino al Friuli, durante Udinese-Roma, partita che nulla aveva a che vedere con gli azzurri. E pensare che proprio alla vigilia Carlo Ancelotti, nuovo paladino dell’orgoglio napoletano, aveva sollecitato maggior attenzione sul tema, annunciando di essere pronto a chiedere la sospensione del match alla prima occasione. Ieri non ha potuto, visto che la sua squadra giocava (e pareggiava) contro il Chievo Verona tra le mura amiche del San Paolo, la prossima volta a Bergamo (altra tifoseria non proprio amica dei napoletani) chissà cosa succederà. La situazione rischia di sfuggire di mano.
Non è la prima volta che si pone la questione. Ricordate il campionato 2013/2014 e l’ondata di provvedimenti su curve, settori o addirittura interi stadi chiusi? Da allora le norme sono state cambiate e ricambiate più volte, fino ad arrivare alla formulazione attuale: la regola c’è, sono messi al bando tutti i “comportamenti discriminatori”, di “denigrazione o insulto per motivi di origine territoriale” (dunque i cori anti-Napoli rientrano di sicuro fra questi). Anche il protocollo è chiaro: primo avviso dagli altoparlanti, sospensione del match con rientro negli spogliatoi delle squadre, addirittura partita persa a tavolino. Tutto, però, è rimandato ad una valutazione discrezionale: i cori devono costituire un “fatto grave”, la discriminazione è legata alla “dimensione e alla percezione reale del fenomeno”. E qui diventa molto più difficile stabilire la “gravità”, se sono pochi o tanti a cantare, se il coro può essere ignorato o dev’essere censurato. Un compromesso frutto dell’ambiguità di base della questione.
Le norme che regolano la discriminazione territoriale sono le stesse di quella razziale, etnica o religiosa, però è innegabile che la percezione e l’atteggiamento, sia pubblico che delle istituzioni, sia diverso. Di fronte a striscioni antisemiti (le famose figurine di Anna Frank all’Olimpico, ad esempio) o a ululati razzisti rivolti ai calciatori di colore non si scherza: non c’è nessuno che si sogni di sminuire la loro gravità, la condanna è unanime e acclarata, le sanzioni (più o meno pesanti, ma questo è un altro discorso) sistematiche. E ci mancherebbe altro che non fosse così. Non capita lo stesso per i cori territoriali, non sempre almeno.
Per i napoletani è una grave offesa, una mancanza di rispetto originata da vecchi stereotipi socialmente inaccettabili. Hanno ragione. Va anche detto, però, che i cori in questione non sono estesi a tutta la categoria dei meridionali (esistono motti simili contro altre città, come Pescara o Bari ad esempio, rivolti magari proprio da tifoserie del Sud): sono molto specifici e hanno tanti caratteri dello “sfottò”. Quando gli ultras della Juve lo cantano, pensano davvero che i napoletani puzzano o è solo una presa in giro poco elegante? Anche se così fosse, è lecito utilizzare motti a sfondo razziale o c’è un limite che anche la goliardia più becera da curva non deve superare? Insomma, siamo tornati alla domanda di partenza: i cori anti-napoletani sono davvero razzismo? Sospendere una partita, come se fosse preso di mira un calciatore di colore, ci sembrerebbe giusto o esagerato? La risposta non è facile, non sta a noi decidere. Ma qualcuno prima o poi dovrà farlo: le dichiarazioni di condanna del presidente Figc Gabriele Gravina o del numoro uno del Coni Giovanni Malagò non bastano se poi non si traducono in dei provvedimenti concreti (e non solo nel referto del giudice sportivo di domani, cosa verosimile, ma sempre). Non può esistere un razzismo di serie A e uno di Serie B: il razzismo è razzismo. Oppure non lo è affatto.
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