Tre amici under 30 decidono di partire da Torino con l'auto dei genitori di uno di loro per andare a trascorrere le vacanze estive nell'ex paese sovietico conosciuto in tutto il mondo per la violenza, il traffico di armi e le bande di criminali. Ma la realtà è ben diversa da quella raccontata dalla comunicazione ufficiale
Una pizza e qualche birra (forse troppe) mangiate per strada tra amici, nell’afa del giugno torinese e un’idea per le vacanze nata dalla precedente esperienza di uno dei tre compagni, dalla voglia di stravolgere gli schemi ma, soprattutto, dalla curiosità cresciuta con i racconti e gli stereotipi su una terra alle porte dell’Europa ma sconosciuta ai più. Si sviluppa così, con lo spirito di tre under-30 che riempiono gli zaini, prendono in prestito la macchina dei genitori e si lanciano all’avventura, Il futuro dopo Lenin (Dots Edizioni, 14 euro), libro scritto a sei mani dai ragazzi del collettivo Volna Mare, Martina Napolitano, Marco Carlone e Simone Benazzo, che racconta il loro viaggio on the road da Torino fino alla Transnistria e ritorno.
Un viaggio nato dalla passione “per tutto ciò che è a est di Trieste”, ma con l’intento di sfatare il mito di una terra comandata da bande armate, organizzazioni criminali, dove traffici illegali, agguati e omicidi sembrano essere, nel racconto di giornali, libri e film, all’ordine del giorno. La Transnistria, come si vedrà, non è questo, ma è molto altro. È un salto nel passato, nei grandi complessi industriali dell’Unione Sovietica. È la storia di nuove generazioni che hanno voglia di andare avanti, di guardare oltre all’isolamento in cui il loro Paese si è trovato e si trova ancora oggi, senza però dimenticare le proprie tradizioni. È uno degli ultimi musei sovietici a cielo aperto, dove il comunismo è ancora vivo nei simboli, nelle immagini e nell’architettura degli edifici più che nei cuori dei suoi abitanti. “Siete ancora comunisti qui?”, chiedono i ragazzi alla direttrice del Museo di storia locale di Tiraspol, capitale della Transnistria. Lei ride: “Direi proprio di no. Il comunismo non esiste più, nemmeno qui. Moldavi e ucraini non hanno saputo intrecciare una relazione con il passato comune. Lo cancellano, lo obliano, punto. Noi, invece, non rinneghiamo il nostro recente passato. Tiriamo le somme, consideriamo ciò che è meglio non si ripeta, ma non sputiamo sul nostro passato”.
Con una prosa spensierata, intervallata da spiegazioni e flashback storici utili a contestualizzare le situazioni che i tre compagni si troveranno ad affrontare, il racconto scorre velocemente, a differenza dell’auto usata per raggiungere Tiraspol, costretta ad affrontare strade sempre più impervie man mano che ci si avvicina a quella lingua di terra che orgogliosamente resiste incastrata tra la Moldavia e l’Ucraina. Le strade sono forse la metafora perfetta di un viaggio che è soprattutto un tuffo nella periferia d’Europa. Passando per Ungheria, Romania, Moldavia, Serbia, Croazia e Slovenia, il collettivo Volna Mare ci racconta come stanno cambiando l’Europa dell’est e i Balcani, come si stanno gradualmente avvicinando a noi, in alcuni casi imitandoci e in altri rimanendo fedeli alle proprie tradizioni, ma anche quali siano ancora oggi le differenze che ci fanno sentire lontani. Una distanza che può essere colmata più velocemente solo in un modo: buttando qualcosa in valigia e mettendosi in viaggio.