Zonaeuro

Manovra, non è più tempo per l’eurofobia. Siamo diventati degli Tsipras qualunque?

Tempo di compianti. Alla luce delle ultime vicende (e delle relative, frettolose, marce indietro attualmente in corso sulla manovra finanziaria), comprensione benevola per quelli che se l’erano bevuta, ritenendo che i presunti ragazzi meraviglia del governo giallo-verde (tendente all’antracite) fossero dei formidabili uomini di Stato. E non dei pokeristi da campagna elettorale (tendenti all’incoscienza), come uno Tsipras qualunque. Ragazzotti giunti alle supreme poltrone provenendo da periferie prealpine o dalle aree arretrate del Paese, che della modernità hanno appreso soltanto i gadget comunicativi. Ossia la modernizzazione 2.0 della chiacchiera imbonitoria da mercato boario o da mercatino nella festa del santo patrono.

Indulgenza generosa nei confronti di chi si è arrabattato in questi mesi per accreditare componenti della compagine governativa (a secondo delle diverse simpatie o interlocuzioni privilegiate) di progettualità inesistenti. Con l’imbarazzata retorica giustificatoria del “ma quelli che c’erano prima…”. E magari mi dava la baia in qualche talk radiofonico (o in questo blog) se, già nel maggio scorso, sul trionfalismo da preliminari esprimevo dubbi improntati al principio di evidenza.

Insomma, siamo davanti a un triste risveglio. Sicché non c’è più margine disponibile per la bullaggine velleitaria contro Bruxelles né per le demenzialità sovraniste delle piccole patrie in un mondo di protagonisti a dimensioni continentali. Per giocare a Davide contro Golia, a un’Italia ritornata “Grande Proletaria” contro le cricche pluto-demo-masso-giudaiche della finanza mondiale, puntando all’en plein nel casinò delle elezioni europee del prossimo maggio. Specie per i conversi al sovranismo a sinistra: povere anime che non si rendono conto di svolgere il ruolo di badilanti al servizio del duo osceno PutinTrump; i demagoghi che vorrebbero sbarazzarsi del condominio fatiscente chiamato Ue, che comunque impiccia i loro piani.

Dal Regno Unito in sbaraccamento ai nostri emigranti Matteo e Luigi sperduti nella Grand-Place bruxelloise come Totò e Peppino in quella milanese del Duomo, risulta chiaro che non è più momento di velleitarismi. E che la Santa Alleanza eurofobica, dei presunti alleati su cui puntava Salvini per la sua ascesa continentale, è rifluita in modesti calcoli di convenienze individuali. Tanto da far dire tranquillamente che le imminenti consultazioni non vedranno emergere un’aggregazione interstatale del risentimento come alternativa a questa Europa. Anche perché gli sfasciacarrozze hanno sufficientemente spaventato i propri elettorati prospettando veri e propri salti nel buio. Mentre non si riesce a capire come e con chi la pattuglia pentastellare degli improvvisati nel pallone guidata da Di Maio, che comunque resta sempre la seconda forza elettorale italiana, potrà connotarsi in chiave continentale. Con questo dando fiato – di fatto – alle posizioni pro Unione più conservatrici, delle caste politiche e delle lobby affaristiche interessate a che nulla cambi nel quadro europeo. In quello che abbiamo definito un condominio non solo fatiscente ma pure inconcludente. Attento esclusivamente al puro presidio dell’esistente, in quanto rendita di posizione a vantaggio di consolidati privilegi.

Accreditando la sensazione che tra lo stallo italiano e quello dell’Unione Europea stia evidenziandosi una singolare simmetria, rappresentata dal fatto che in un caso come nell’altro non ci sono in campo alternative sufficientemente credibili. Sicché facile è la previsione che a breve/medio periodo l’evoluzione in entrambi i contesti rischia di essere una sola: la stagnazione.