Durante lo tsunami del 2004, un membro della tribù fu fotografato mentre lanciava frecce contro un elicottero. L’immagine fece il giro del mondo. In questi giorni altre foto sono diventate virali sui social: quelle scattate, sempre a debita distanza da North Sentinel Island, nell’arcipelago indiano delle Andamane, agli indigenti che il 17 novembre hanno ucciso il missionario statunitense John Allen Chau che voleva convertirli al cristianesimo. La tribù rifiuta da sempre ogni contatto con il resto del mondo, ma in queste ore militari e funzionari indiani si sono avvicinati ripetutamente all’isola per tentare di recuperare il corpo del missionario. Sforzi che potrebbero rivelarsi inutili e, soprattutto, pericolosi. Il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni Survival International e gli antropologi consultati dalla polizia locale chiedono infatti di rinunciare al recupero del corpo.
I RISCHI PER I SENTINELESI – I Sentinelesi, tribù che conta in tutto meno di 50 persone, hanno sempre attaccato e anche ucciso chi si avvicinava. Molti studiosi li ritengono discendenti di africani migrati nella zona circa 50mila anni fa, in pratica la prima ondata migratoria degli Homo sapiens dall’Africa in Asia. Da fine Ottocento rifiutano ogni contatto. Da quando, cioè, una coppia di anziani e alcuni bambini furono portati a Port Blair, capitale delle isole, per alcune ricerche scientifiche. Gli anziani morirono e i bambini furono riportati sull’isola, trasmettendo le loro malattie. Oggi, come allora, un contatto con persone estranee alla tribù li esporrebbe a un rischio molto alto di contrarre epidemie mortali verso cui non hanno difese immunitarie. Anche una banale influenza per gli indigeni potrebbe rivelarsi fatale. Ecco perché a poco sono valsi i tentativi effettuati dagli anni Settanta in poi. Senza contare che le tribù vicine furono spazzate via con la colonizzazione britannica delle isole.
I TENTATIVI DI RECUPERARE IL CORPO – Il capo della polizia locale, Dependera Pathak, ha spiegato che si sta cercando di recuperare il corpo. A guidare la polizia sono gli stessi sette pescatori, poi arrestati, che si sono offerti di accompagnare il giovane missionario fino a qualche centinaio di metri dalla riva dell’isola (nonostante il divieto di sbarco imposto dalla legge indiana) per poi lasciarlo proseguire da solo in canoa osservando tutta la scena dell’omicidio a distanza. Secondo la loro ricostruzione i Sentinelesi hanno seppellito il corpo di Chau sulla spiaggia. E mentre da un lato la polizia sta sorvegliando gli indigeni, osservandoli da lontano e venendo a loro volta ricambiati, dall’altro si studiano i precedenti. Come il caso di un incidente avvenuto nel 2006, quando due pescatori indiani uccisi dalla tribù vennero seppelliti sulla spiaggia. Dopo pochi giorni i cadaveri furono dissotterrati e innalzati su croci di bambù, probabilmente come monito per altri stranieri che fossero stati intenzionati a sbarcare sull’isola. I corpi dei due pescatori non sono mai stati recuperati. Nell’intento di riuscire, questa volta, ad ottenere un epilogo diverso, la polizia ha consultato anche alcuni antropologi che possano dire qualcosa in più della psicologia di questa tribù, delle loro abitudini e dei loro riti quando uccidono gli stranieri.
LA PRESA DI POSIZIONE – A pochi giorni dall’omicidio del missionario, in un comunicato congiunto, un gruppo di antropologi, esperti e giornalisti indiani hanno espresso la loro preoccupazione per i tentativi di recuperare il corpo di John Allen Chau. “Continuare con questi sforzi potrebbe portare a ulteriori violenze e perdite di vita completamente ingiustificate” hanno scritto, convinti che “i diritti e la volontà dei Sentinelesi devono essere rispettati, mentre nessun obiettivo deve essere raggiunto aumentando il conflitto e la tensione o, peggio, creando una situazione che porterebbe a danni ancora maggiori”. Da qui l’appello: “Non siamo a conoscenza delle pressioni in base alle quali il governo indiano e l’amministrazione delle Andamane e Nicobare stanno portando avanti gli sforzi per il recupero del corpo, ma invitiamo le autorità interessate a interrompere immediatamente questi sforzi”. Una richiesta formulata anche da Stephen Corry, direttore generale di Survival International, secondo cui “ogni tentativo è estremamente pericoloso sia per i funzionari indiani, sia per i Sentinelesi, che rischiano di essere spazzati via dalle malattie introdotte dall’esterno”.