Alla corsa per prendersi la poltrona che fu di Matteo Renzi, ereditando le ceneri di un Pd affondato nelle urne il 4 marzo, si presentano in otto. Qualcuno li ha già malignamente ribattezzati i 7 nani, quasi a sottolinearne il deficit di leadership anche all’interno dello stesso partito. Nani perché i dem arrivano in piccole pattuglie: c’è chi cerca spazio, altri rivendicano una rottura definitiva con il passato, qualcuno difende posizioni consolidate nel tempo. C’è chi nega legami con l’era del renzismo come Marco Minniti, anche se proprio i più vicini all’ex premier bussano alla sua porta in maniera più o meno vistosa, e chi quel passato vicino al segretario che ha isolato il partito nel post elezioni lo rivendica.
Tra il più giovane (Dario Corallo) e il più anziano (Cesare Damiano), qualcuno vicino a Renzi non ci è mai stato – leggasi Francesco Boccia, che lo piccona da anni – e chi si presenta da totale outsider con l’intento di rovesciare il tavolo accusando i big di aver fallito. Tanti si rivolgono ai fuoriusciti verso sinistra e vorrebbero riabbracciarli, altri strizzano l’occhio al Movimento Cinque Stelle. Tutti, a giudicare dai sondaggi, dovranno fare i conti con un popolo che naviga senza vento e andrà a votare alle primarie alla rinfusa, sparpagliando i voti. Così chi vince rischia di ritrovarsi i nemici alle porte.
Il favorito – in attesa che la commissione Congresso risolva le questioni regolamentari – resta Nicola Zingaretti, che si è mosso in anticipo e trova un consenso trasversale tra la base dei circoli e big come Franceschini e Gentiloni. Nelle prossime settimane – i termini per la presentazione delle candidature sono aperti fino a metà dicembre – il panorama potrebbe addirittura cambiare, assottigliando il numero dei candidati o allargandolo. Intanto ecco, dal governatore del Lazio all’outsider Corallo, i profili dei sette candidati alla segreteria del Pd: chi sta con chi e chi propone cosa.