Il reddito minimo universale è un’erogazione monetaria, distribuita con regolarità a tutti i cittadini e residenti, cumulabile con altri redditi, indipendente dall’attività lavorativa, dal credo religioso, dal sesso e dalla posizione sociale. E, soprattutto, erogata durante tutta la vita del soggetto. Il reddito di cittadinanza, temporaneo e condizionato da vincoli vari, è perciò un modello ancora lontano dall’Universal basic income (Ubi) oggi reclamato da alcuni pensatori di sinistra – come David Graeber, uno dei promotori di Occupy Wall Street – e da qualche magnate illuminato – come Richard Branson di Virgin ed Elon Musk di Tesla.

L’Ubi ha una lunga storia alle spalle. Alla sua origine c’è il sistema Speenhamland, dal nome del villaggio inglese dove fu promulgato il Berkshire Bread Act nel 1795 da un gruppo di magistrati, riuniti lì per affrontare la crisi causata dall’aumento del prezzo del grano. Il sistema sociale dell’epoca – la Poor Law varata da Elisabetta I nel 1601 per combattere il pauperismo – divideva gli adulti indigenti in tre gruppi: quelli che potevano lavorare, quelli che non potevano e i “poveri oziosi” e coloro che non avevano alcuna intenzione di farlo. A disabili e infermi davano lavoro o aiuto le parrocchie locali, mentre i poveri oziosi venivano avviati al lavoro forzosamente o, se renitenti, bastonati sulla pubblica piazza in quanto rei di accattonaggio. Poiché il prezzo del grano era aumentato in modo insostenibile, le parrocchie venivano ormai prese d’assalto dai poveri. E prevenire la pigrizia con la necessaria durezza era diventato ingestibile, giacché la magagna si era diffusa a dismisura.

Quei magistrati escogitarono allora un sistema per aiutare le famiglie, integrandone i redditi fino a coprire il costo della vita. Ogni uomo ebbe denaro per comprare tre galloni di pane a settimana, più una pagnotta e mezza per ogni membro della famiglia. Una coppia con tre figli portava così a casa l’equivalente di più di 25 sterline a settimana. E il sistema garantiva un salario di sussistenza che lasciava liberi gli uomini di fare lavori retribuiti o non lavorare affatto. Il sistema fu accantonato nel 1834, più o meno con le stesse motivazioni dei critici di oggi, come Frank Field su The Economist. Contro il pauperismo venne introdotto il sistema delle workhouse dei romanzi di Dickens, ricoveri che offrivano casa e lavoro a chi non era in grado di sostentarsi. In realtà, una sorta di case di correzione, in funzione fino al 1948, quando scomparve ogni vestigia di Poor Law.

Le emergenze di due secoli fa erano legata a guerre e carestie. L’emergenza del nuovo millennio sono i robot, la telematica e l’intelligenza artificiale, che provocheranno un’enorme perdita di posti di lavoro. E metteranno in crisi il lavoro stesso come simbolo d’identità personale e l’istruzione come ascensore sociale, assieme al ruolo stesso della formazione come fornitore di capitale umano. Con una soglia dell’Ubi a mille dollari al mese, gli Usa spenderebbero 3900 miliardi di dollari all’anno, un quinto del loro Pil. Secondo il cofondatore di Facebook, Chris Hughes, l’unica soluzione sarebbe un Ubi più modesto, 500 dollari al mese a ogni adulto in una famiglia con un reddito inferiore a 50mila dollari all’anno. Per reperire le risorse, Hughes propone di eliminare le esenzioni fiscali di cui godono gli ultra-ricchi: “La gente come me”. E sostiene che l’Ubi potrebbe davvero abolire la povertà, ricostruire su nuove basi la società del benessere, consentire alle persone di muoversi più facilmente nel mercato del lavoro, semplificare la gestione dei sussidi, mutare il lavoro in una libera scelta.

Se alcuni considerano l’Ubi il male minore di fronte alla rivoluzione in atto – meglio che ritornare alle workhouse – molti sono gli avversari, a destra e a sinistra. Per i politici più ortodossi, l’Ubi aumenterebbe la tassazione a livelli improponibili e insostenibili. Genererebbe una sorta di sottomissione di chi ne beneficia, producendo in costoro un senso di sconfitta anziché la percezione di una sicurezza di vita. Produrrebbe una carenza intollerabile di addetti a mansioni di fondamentale importanza in molti settori: dall’insegnamento alla sanità e all’assistenza sociale.

A loro volta, gli eredi del socialismo reale non dimenticano la lezione di Marx, che identificò nel sistema Speenhamland il rapace che abbassa i salari dei lavoratori. Per costoro, l’Ubi è il peccato originale del capitalismo, lo strumento che rende il proletariato irrilevante per il mercato del lavoro. L’araba fenice che riappare ogni volta che nascono nuovi meccanismi di produzione. Un timore condiviso da chi oggi teme la “glebalizzazione” della società come conseguenza del mercato globale. Il dilemma dell’Ubi è tuttora insoluto. Il lavoro potrebbe forse rimanere un pilastro della società solo lavorando meno per lavorare tutti. Un’utopia senz’altro meno realistica di un ritorno alla workhouse o al sistema Speenhamland.

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