Non ci sono “circostanze speciali relative al rispetto per i diritti umani che richiedano di continuare l’esame” e per questo così come aveva chiesto il ricorrente il caso è stato archiviato. La Corte europea dei diritti umani ha cancellato il ricorso dalla sua lista di casi. Quindi non si saprà mai se facendo decadere Silvio Berlusconi dal suo seggio in Senato nel 2013, esattamente cinque anni fa, e impedendogli di presentarsi come candidato alle elezioni, in base a quanto previsto dalla legge Severino, l’Italia abbia violato o meno i suoi diritti umani. Nessuna sentenza, nessuna decisione, ma per volontà dello stesso ricorrente: e in assenza di motivi eccezionali che imponessero alle toghe europee di procedere comunque, il caso è stato chiuso.
I magistrati di Strasburgo – che hanno deciso a maggioranza e non all’unanimità come spesso accade – hanno fatto riferimento all’articolo 37.1 della Convenzione che prevede che “in ogni momento della procedura, la Corte può decidere di cancellare un ricorso dal ruolo quando le circostanze permettono di concludere: che il ricorrente non intende più mantenerlo; oppure che la controversia è stata risolta; oppure che per ogni altro motivo di cui la Corte accerta l’esistenza, la prosecuzione dell’esame del ricorso non sia più giustificata. Tuttavia la Corte – si legge – prosegue l’esame del ricorso qualora il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli lo imponga”. Berlusconi, però, dopo la riabilitazione incassata nel marzo scorso ci ha ripensato: e nonostante i cinque anni di tempo impiegati per il ricorso a Strasburgo, ha preferito chiedere alla Cedu di chiudere il suo caso senza decidere. Non si sa mai.
La richiesta dell’ex premier inviata a Strasburgo il 27 luglio
Erano stati gli avvocati dell’ex presidente del Consiglio a presentare la richiesta in una lettera inviata il 27 luglio in cui sostenevano che, data la riabilitazione del leader di Forza Italia da parte del tribunale di Milano, Berlusconi non aveva più interesse ad avere un pronunciamento perché “non avrebbe prodotto alcun effetto positivo” per lui. E a leggere il provvedimento della Cedu la riabilitazione è diventata definitiva l’11 maggio 2018, come deciso dalla Cassazione. Eppure nel ricorso Berlusconi aveva affermato che la norma sulla decadenza per i parlamentari condannati in via definitiva, non avrebbe dovuto essergli applicata perché i reati per cui era stato condannato erano stati commessi prima dell’entrata in vigore della legge. A tre anni dall’espiazione della pena per frode fiscale, scontata in affidamento ai servizi sociali il leader di Forza Italia aveva ottenuto la riabilitazione dal tribunale di sorveglianza di Milano. Tra le polemiche perché l’ex premier resta imputato nel terzo filone del caso Ruby ed è indagato per concorso nelle stragi del 1993 a Firenze.
Il ricorso per la violazione degli articoli 3, 7 e 13 che non gli interessa più
L’annuncio che l’ex cavaliere avesse aveva chiesto alla Cedu di esprimersi sul suo caso, quando la procedura di decadenza era ancora in corso, era arrivato il 7 settembre 2013 alla Giunta per le elezioni e immunità. Nel dossier inviato a Strasburgo l’ex cavaliere sosteneva che c’erano “elementi sufficienti” per affermare che nell’intera vicenda “gli obiettivi politici hanno prevalso sulle ragioni del diritto” o, quanto meno, “ne hanno orientato i percorsi applicativi al deliberato scopo di espungere dal corpo dei rappresentanti il leader di uno dei principali partiti italiani” sottolineando che la volontà di parte del corpo elettorale viene esposta a “pericolose manipolazioni“. Berlusconi sosteneva che fossero stati violati gli articoli 3, 7 e 13 della Convenzione ovvero che non ci può essere pena in assenza di una legge, il diritto a libere elezioni, il diritto a un risarcimento (remedy). Ma a riabilitazione incassata evidentemente non gli interessa più saperlo.
Gli avvocati: “Sentenza sarebbe stata favorevole”
“Il Presidente Berlusconi a seguito di una ingiusta sentenza di condanna era stato privato, con indebita applicazione retroattiva dalla cosiddetta legge Severino, dei suoi diritti politici con conseguente decadenza dal Senato. Nell’aprile di quest’anno l’intervenuta riabilitazione ha anticipatamente cancellato gli effetti della predetta legge. Non vi era dunque più alcun interesse di ottenere una decisione che riteniamo sarebbe stata favorevole – affermano gli avvocati Franco Coppi, Niccolò Ghedini, Andrea Saccucci e Bruno Nascimbene -. La Corte EDU a distanza di quasi 5 anni dalla proposizione del ricorso, a quella data, non aveva ancora provveduto. Ovviamente – si legge nel comunicato – così come riconosciuto quest’oggi dalla stessa Corte, non vi era più necessità di proseguire nel ricorso essendo ritornato il Presidente Berlusconi nella pienezza dei propri diritti politici. Non vi era dunque più alcun interesse dopo oltre 5 anni di ottenere una decisione che riteniamo sarebbe stata favorevole alle ragioni del Presidente Berlusconi ma che non avrebbe avuto alcun effetto concreto o utile, essendo addirittura già terminata la passata legislatura. Una condanna dell’Italia avrebbe altresì comportato ulteriori tensioni nella già più che complessa vita del paese, circostanza che il Presidente Berlusconi ha inteso assolutamente evitare”.