La serie tv è come se rallentasse e dilatasse il racconto letterario, come se lo zavorrasse ad un anonimato ambientale e ad un triste quanto noioso déjà vu d’atmosfera tale per cui, ad un angolo potrebbe improvvisamente sbucare uno dei protagonisti de Il paradiso delle signore senza che nessuno se ne accorgesse
Tanto, tanto, tantissimo rumore, per nulla. Andiamo veloci, perché già due ore di tempo prezioso sono state rubate ieri sera dalla visione de L’Amica geniale. Intanto, che noia, che barba, che scatole, che storia (trasposta) priva di qualunque gancio per trascinarci verso e dentro di sé. Sempre che non siate fan del libro, ma i fan di un libro di fronte ad una trasposizione cinetelevisiva non fanno MAI testo.
Sembra una gabbia respingente questo famoso set da mille e una notte a livello produttivo. Un enorme quadratone di edilizia popolare identico ad ogni angolo di isolato, disegnato come il cartellone del Monopoli (lì c’è Vicolo Stretto con l’orco, là c’è Viale Vesuvio con le signore che urlano dalle terrazze, là sotto gli Imprevisti…), e illuminato da quella penombra tipica dello sceneggiato d’antan Rai1 (vuoi mai che un abbonato Sky passi sull’1 e fraintenda). L’amica geniale versione Saverio Costanzo, con sceneggiatura della grandissima Elena Ferrante (l’hai scampata anche questa volta chiunque tu sia, sei un genio), Laura Paolucci e Francesco Piccolo (nel prequel dell’infingardissimo mea culpa L’animale che porto dentro visto il femminismo del testo), fanno letteralmente a pezzi il libro della Ferrante stessa, anzi, è come se ne avessero infine trovato una sorta di fil rouge essenziale, molto spurio, fatto eminentemente di dialoghi, e che da quello abbiano scrollato ogni sorta di pulviscolo, di terriccio, di rapido saettare di dettagli che, bisogna dirlo, nella sua semplificante e rigogliosa franchezza il romanzo era riuscito a far emergere.
Insomma la serie tv è come se rallentasse e dilatasse il racconto letterario, come se lo zavorrasse ad un anonimato ambientale e ad un triste quanto noioso déjà vu d’atmosfera tale per cui, ad un angolo potrebbe improvvisamente sbucare uno dei protagonisti de Il paradiso delle signore senza che nessuno se ne accorgesse. L’amica geniale sembra un crogiolo cromatico di atmosfere da neorealismo rifatto 30/40 anni dopo e da quella nebbiolina marroncina posticcio da telenovela (vuoi mai che uno spettatore de Il segreto faccia zapping su l’1 e ci caschi). Per non parlare dei momenti espliciti da mafia movie, summa cartolinesca e stereotipata che tanto serve alla HBO de I soprano per vendere il prodotto negli Stati Uniti, o dei momenti clamorosi in cui le persone letteralmente volano per aria (la defenestrazione di una delle due protagoniste è puro horror altroché dramma) come fossimo dinanzi alle peripezie dei supereroi Marvel. “Don Alfonso (…) s’era gettato addosso a Peluso, lo aveva sollevato, lo aveva lanciato contro un albero dei giardinetti e l’aveva abbandonato lì, tramortito, col sangue che gli usciva da cento ferite in testa e dappertutto, senza che il poveretto potesse anche solo dire: aiutatemi”.
Riportiamo solo questo esempio letterario e osserviamo cosa è diventato nella serie: prologo in chiesa bello lungo e fuori luogo (nel libro accade tutto all’uscita della Chiesa) durante un bel brano della Messa, poi una mano malandrina agguanta Peluso seduto in fondo e lo trascina fuori. Urla di tutti da dentro e da fuori la Chiesa, ma tutti si disinteressano e perfino il prete fa spallucce (la vecchia eterna necessità di un copione progressista con la solita curia corrotta eh?). Poi siamo in esterno e il trascinamento della vittima continua fino a quando in profondità di campo vediamo volare in aria a due metri da terra l’uomo che sbatte come un sacco vuoto contro un muro (spoglio e pulito che la produzione aveva dimenticato intonso). Ovviamente, e contrariamente al romanzo l’uomo mugola per tutto il tragitto prima del violento atto finale. Insomma, gli sceneggiatori dentro a L’amica geniale hanno infilato il becco, e pure zampe, coda e tutto il collo, lasciando briciolone di autenticità sparse qua e là tra script e realizzazione.
E qui si giunge ad un altro paio di considerazioni essenziali per il fallimentare esperimento seriale. Intanto la sfregola femminista ferrantiana che imbeve la prima persona del libro, e che descrive lo stupore barricadiero e intellettivo di fronte all’amica geniale, è come se si dissolvesse (la voce fuori campo di Alba Rohrwacher è semplicemente disastrosa) in una scontata, più leggibile e meno ossessiva, partitura di attenzione e senso divisa perfettamente a due (Lila ed Elena-Lenù). Non è un cosa da poco, anzi. Seconda questione: queste due giovani attrici, Elisa Del Genio e Ludovica Nasti, vengono lodate ai quattro venti, ma ad essere molto sinceri vivono una catatonia da filodrammatica che nemmeno fossero la Giovanna d’Arco di Dreyer. Quelle sgranatone di occhi di Elena suvvia, davvero? A che possono servire? Non basta che sia la regia a “sgranare” il proprio sguardo su quel set angusto e buio? Cos’è questo didascalismo da quinta elementare nella ricerca espressiva perlopiù di bambine minorenni senza esperienza? Passiamogli pure anche questa.
Ma proprio c’è da alzarsi in piedi e gridare alla “cagata pazzesca” quando si commette il sacrilegio di ripetere, pedissequamente, la scena di Anna Magnani che corre dietro al camioncino nazista con sopra il marito in Roma città aperta. Identica, sputata, precisa (qui c’è la polizia ma fa niente). Ma anche qui: che accidenti significa? Era scritto nel libro (non mi pare proprio)? Quindi così: già la barca si fa di tutto per farla affondare e seppur nella tragedia si prova anche a renderla ridicola? Fate vobis. Io la sera in cui programmano la seconda parte de L’amica geniale non ci sono: ho judo.