Cosa hanno in comune la decisione del governo italiano di non presentarsi alla conferenza internazionale sulle migrazioni di Marrakesh – e l’eventuale ritiro della firma dell’Italia dal Global Migration Compact – con la sentenza del Tar Lazio di imporre al governo italiano la pubblicazione dell’accordo bilaterale di cooperazione (anche militare), siglato tra Italia e Niger nel settembre 2017? Apparentemente nulla. Se però le politiche migratorie si osservano da vicino, e con una prospettiva storica, le due decisioni possono mostrare molti punti in comune. La decisione del governo italiano rivela la fuga dell’Italia dalla multilateralità formale vincolante (trattati internazionali, composti da norme rigide, vincolanti e pubbliche) e la decisione del Tar rivela l’adesione dell’Italia alla governance transnazionale delle migrazioni, altrimenti detta “governance per isole” (realizzata prevalentemente attraverso patti informali e segreti).
Il trattato siglato tra i due Stati (Italia e Niger), infatti, pur essendo soggetto all’obbligo della pubblicità, non era mai stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Era cioè rimasto segreto, nonostante contenga decisioni e norme con conseguenze significative per la vita di tutti e, in particolare, per quella degli immigrati. Come hanno giustamente sottolineato le associazioni (Asgi e Cild) che hanno fatto ricorso al Tar Lazio: “La sentenza riafferma la necessaria pubblicazione di modo che siano sempre sottoposti al controllo della collettività e così lo sia tutta l’attività della pubblica amministrazione anche per ciò che concerne le relazioni internazionali. Tale decisione è ancora più importante in un momento in cui questioni molto rilevanti per la vita di tutti vengono gestite con decisione amministrative che hanno soppiantato il normale iter legislativo e politico”.
Si tratta di atti che rivelano, dunque, la tendenza generale delle politiche migratorie in Italia degli ultimi 25 anni. Questa tendenza è visibile non solo nel campo delle migrazioni, ma anche in altri settori. Tutto ciò è diretta conseguenza di un mondo ormai multipolare, che vede emergere altri Stati – oltre a quelli occidentali – come attori globali importanti. In un simile contesto, molti degli Stati occidentali, Italia compresa, che non vogliono perdere lo “storico” potere esercitato su altri, abbandonano le assemblee multilaterali per tentare la strada del “tu per tu”, nella speranza di contare di più. L’intero processo affonda le radici nella cosiddetta globalizzazione economica; è così che si è imposto il cambio di paradigma nella gestione di ciò che è pubblico, producendo, di conseguenza, una reinvenzione del modo di governare, anche a livello internazionale.
Questo fenomeno è molto evidente nel settore dell’immigrazione, laddove nella gestione dei movimenti migratori si privilegiano procedure e pratiche opache (segrete) e le decisioni si assumono in pochi “club privé” transnazionali, lasciando completamente all’oscuro i cittadini, in primis gli immigrati, cioè coloro che sono i reali destinatari di tali decisioni. Alla base vi è, in primo luogo, l’idea che le migrazioni internazionali non siano un “global public good” (bene pubblico di rilevanza globale, come ad esempio è considerato il clima), ma un “private good”, ovvero un bene privato, i cui costi e benefici appartengano soprattutto agli Stati di partenza e di arrivo. In secondo luogo, si persegue l’obiettivo di incrementare il carattere autoritario nella gestione delle migrazioni internazionali. Spiegava, infatti, Max Weber che l’opacità e il segreto nell’agire di una organizzazione è “sintomo o dell’intento dei dominanti di tenere più stretta a sé la potestà di dominio oppure della loro convinzione che essa sia vieppiù minacciata”.
Tutto questo avviene, paradossalmente, nel momento in cui la grancassa della cooperazione suona più forte. C’è un gran parlare di cooperazione, infatti, sui temi delle migrazioni: non c’è politico o partito in Italia che non chieda all’Europa e agli Stati membri di cooperare con l’Italia. Come si concilia la diserzione dell’Italia dal luogo in cui massima si prevede la cooperazione internazionale? Non si concilia, infatti, e proprio questo rivela l’astrazione o l’inganno di tali grida. Ciò che davvero si vuole, nell’era del sovranismo imperante, è conservare il potere degli esecutivi sulla vita degli immigrati. Più gli accordi e le decisioni restano segreti, più gli immigrati sono esclusi dalla soggettività giuridica (il diritto ad avere diritti), ovvero dalla capacità di essere tutelati dalla gestione arbitraria delle loro vite. Escluse infatti dalla scena le leggi formali, ecco che al loro posto subentrano altre leggi, dette “ferree”, quelle dei mercati, le quali educano e disciplinano corpi e menti, secondo le loro esigenze, ovviamente.