È con l’Attila di Giuseppe Verdi che il Teatro alla Scala inaugurerà quest’anno la sua nuova stagione teatrale. Un’opera non certo tra le più celebri del repertorio verdiano, ma non per questo passata inosservata, grazie alla nuovissima regia del torinese Davide Livermore, agli occhi di Giosuè Berbenni, sindaco di un piccolissimo centro del Bergamasco, Cenate Sotto: “C’è una scena molto spinta – ha spiegato Berbenni alla sovrintendenza della Scala – dove viene rappresentato un bordello. In questa scena una donna prende la statua della Vergine Maria, madre di Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, e la scaraventa a terra. La scena è raccapricciante”. Così Berbenni ha chiesto alla Scala di epurare l’opera dalla scena incriminata: “Con la presente – prosegue il primo cittadino – chiedo in qualità di credente che questa scena blasfema contro l’Immacolata e contro la cristianità, venga tolta”.
Di scene veramente raccapriccianti, a seconda dei registi e delle loro scelte, l’opera lirica invero non ne ha viste certo poche. Basti rammentare quella Lucia di Lammermoor, carica di scene sessuali di vario genere e affidata alla regia di Katie Mitchel, andata in scena al Covent Garden Opera House di Londra due anni or sono: in quel caso fu il teatro stesso a indicare al proprio pubblico il rischio di poter essere infastidito da una regia alquanto spinta e comprendente persino la simulazione di uno stupro: a centinaia infatti giunsero le richieste di rimborso del biglietto. Una comunicazione preventiva dunque per scongiurare quanto precedentemente accaduto, sempre al Covent Garden Opera House, in occasione del celebre Guglielmo Tell con la regia di Damiano Michieletto: uno stupro di gruppo (simulato) fece infatti inorridire il pubblico del teatro londinese, con una conseguente valanga di critiche e polemiche, oltre che fischi e boati a scena aperta.
Nulla di tutto ciò sembra però riguardare l’Attila che andrà in scena la sera di Sant’Ambrogio alla Scala con la direzione di Riccardo Chailly, i costumi di Gianluca Falaschi, le scene di Giò Forma e la regia, appunto, di Davide Livermore: “Questa è la terza opera che metto in scena alla Scala – racconta il regista -, e sono evidentemente onoratissimo di poterlo fare. Onoratissimo di rilavorare col maestro Chailly, perché è un’esperienza straordinaria poter lavorare con uno dei più grandi musicisti che ci sono al mondo. Il cast è meraviglioso. Nella caratterizzazione di Attila e di Ezio bisogna partire da un’analisi profonda della società di Verdi, conoscere quello che faceva anche a livello politico con le sue opere e scoprire che non cavalcava l’onda del consenso facile. Non l’ha mai fatto”.
Dal canto suo la Scala, che come sempre dimostra di avere le idee ben chiare, replica così alle parole del sindaco cenatese: “Nello spettacolo non c’è nulla di blasfemo e il 7 dicembre tutti se ne renderanno conto. Fino ad allora non facciamo commenti”. Insomma, l’Attila di Verdi, quand’anche accusata di blasfemia, non si tocca. Per farlo, occorrerebbe come minimo chiamarsi Gioachino Rossini: “Per l’Attila – narra nel volume Dive e maestri il musicologo Philip Gossett – Verdi preparò una nuova romanza, ‘Sventurato! Alla mia vita’, quando il tenore russo Nicola Ivanoff cantò nel ruolo di Foresto a Trieste nell’autunno del 1846 (…) Ivanoff fu un grande amico di Rossini, e fu Rossini stesso, in una lettera del 21 luglio, a commissionare a Verdi un pezzo per il suo protégé. Verdi non era propenso alle arie sostitutive, ma non si poteva opporre un rifiuto a Rossini”.