La cultura rastafariana è sbarcata in Italia grazie a loro. Con un sound ‘nero’, made in Giamaica, nonostante provenissero da Pinerolo, in Piemonte, hanno fatto ballare intere generazioni, affermandosi nel panorama musicale nazionale. Sono gli Africa Unite, il gruppo, oggi composto da sei musicisti, nato nel 1981. Il loro nome si ispira ad una canzone di Bob Marley, padre del genere che oggi ha ricevuto un riconoscimento mondiale. Il reggae è stato infatti dichiarato dall’Unesco patrimonio mondiale. “Sarebbe auspicabile tornare a parlare di realtà, ridare alla musica e alle parole importanza”, commenta al fattoquotidiano.it Bunna, classe 1964, i folti rasta ancora in testa, fondatore della band insieme a Madaski.
La musica reggae è stata inserita tra i ‘Patrimoni orali e immateriali dell’umanità’ dall’Unesco. Voi avete portato il genere in Italia.
Aver appreso questa notizia ci ha fatto sicuramente molto piacere. Il reggae inizialmente, con Marley, è stato il genere che ci ha folgorati che ci ha fatto innamorare, prima per il suo ritmo e le sue melodie, ma subito dopo per la sua forza nel veicolare messaggi. Marley, su tutti, è riuscito a dare voce a quelli che non ce l’avevano, riuscendo a trattare con parole semplici argomenti, a volte, anche complicati facendo comunque sempre trasparire speranza e positività. La sua filosofia One Love fatta di rispetto, tolleranza, pace e amore, era e rimane, secondo noi, un obiettivo da perseguire per tutta l’umanità. Quindi ben venga questo riconoscimento, con la speranza che possa servire a divulgare questa musica e la sua attitudine.
Il genere è stato premiato per il suo “contribuito al dibattito internazionale su ingiustizia, resistenza, amore e umanità”. Pensate che la scelta sia stata fatta solo per la musica impegnata di Bob Marley o anche per altre motivazioni?
Sicuramente Marley ha avuto una grande importanza. Ad oggi nessuno è arrivato al suo livello sia per popolarità che per levatura artistica. La sua musica, nonostante sia stata scritta molti anni fa, risultaancora attuale sia dal punto di vista musicale che per le tematiche affrontate, molte delle quali non hanno ancora trovato soluzione. Lui penso sia uno dei motivi principali che ha portato a questa scelta. L’altro, invece, credo possa essere il fatto che nel momento storico in cui viviamo, dove il denaro, l’apparire e l’egoismo sembrano essere la regola, ci sia bisogno di elementi che ci inducano a riflettere su quali siano veramente i valori fondamentali per i quali la vita ha senso di essere vissuta.
Nel panorama musicale di oggi, dal rap alla trap, i valori cantati dal reggae sono ancora sentiti come attuali?
Purtroppo stiamo vivendo un momento molto particolare per quanto riguarda la musica. Manca, a mio parere, un’educazione alla musica stessa. Un certo tipo di pubblico non ha gli strumenti per poter valutare il valore reale di quello che ci viene proposto. Di conseguenza, può succedere che diventino virali ed ottengano grande successo artisti che con la loro musica fanno passare messaggi diseducativi e pericolosi. Niente di più lontano dal messaggio originario del reggae che idealizzava una società tollerante e rispettosa dei bisogni di ognuno. Ma, per fortuna, non si può generalizzare. Ci sono anche artisti dell’ultima ora che, al di là del genere, sono attenti a quello che accade e cercano, con la loro arte, di fornire riflessioni interessanti.
La mossa dell’Unesco è simbolica o vuole lanciare un segnale alla musica contemporanea?
Potrebbe essere. Oggi, la musica per “funzionare” sembra dover essere disimpegnata, sembra dover dimenticare le sofferenze del mondo e parlare solamente di cose frivole, banali, legate ai soliti immaginari che il mainstream continua a propinarci. Sarebbe auspicabile parlare di realtà, ridare alla musica e alle parole importanza perché possano tornare ad essere una cosa seria.
Il riconoscimento è andato alla musica reggae in generale. Lo sentite anche un po’ vostro? Pensate di aver contribuito a diffondere questa cultura, almeno in Italia?
Quando abbiamo cominciato con gli Africa Unite, in Italia, le band che suonavano il reggae si potevano contare tranquillamente sulle dita di una mano. Sicuramente situazioni come la nostra, i Pitura Freska, i Sud Sound System, o i festival come il Rototom Sunsplash, per elencarne qualcuna, hanno avuto una grande importanza nella divulgazione della cultura del genere, trovo quindi legittimo sentire questo riconoscimento anche un po’ nostro.