“Entro 30 anni avremo le tecnologie necessarie per creare intelligenze superumane, di lì a poco l’era umana giungerà alla fine”. Lo diceva il matematico e scrittore Vernor Vinge, era il 1993. C’è un giorno in cui la fantascienza diventa realtà. Quel giorno è oggi. È già iniziato quel processo che porterà i computer, anzi, più precisamente le Ai, intelligenze artificiali, a diventare autocoscienti, e si supererà il punto di non ritorno. Questo momento è stato calcolato accuratamente da diversi scienziati, che hanno incrociato moltissimi dati differenti, tutti con un risultato simile tra loro, ovvero un anno attorno al 2045. L’argomento sta ispirando molti libri, tra cui il saggio molto ben documentato di Mark O’Connell Essere una macchina (Adelphi, trad. Giovanni Pannofino) in cui l’autore porta avanti diverse tesi e ipotesi avanzate una decina di anni fa da Ray Kurzweil e altri.

Le intelligenze artificiali raggiungeranno la possibilità di auto-modificare il loro Dna, aggiornarlo, farlo evolvere. Sfuggiranno completamente alla nostra comprensione, probabilmente anche al nostro controllo. Vi sembra azzardato? Oggi, anno domini 2018, abbiamo una tecnologia che sta rendendo le macchine autonome. Esistono già prototipi di automobili che si guidano da sole, di frigoriferi in grado di ordinare i prodotti in esaurimento – come il latte o la birra, e farli consegnare a casa -, esistono confezioni di medicinali che ci ricordano di essere presi a determinati orari, sveglie che si regolano autonomamente calcolando il tragitto che dobbiamo fare e lo stato del traffico in tempo reale. Se calcoliamo che solo dieci anni fa non esistevano nemmeno gli smartphone cosa potrebbe succedere, anzi cosa succederà nei prossimi decenni?

Per noi normali esseri umani è impossibile prevederlo, ma può essere che scienziati come l’inventore e informatico Ray Kurzweil, che chiama questo punto di non ritorno “singolarità tecnologica”. Secondo Kurzweil e O’Connor sarà l’essere umano stesso a diventare in parte una macchina. Grazie all’innesto di nanorobot, ovvero robot talmente piccoli da essere invisibili a occhio nudo, sarà possibile intervenire sulle funzioni del corpo e del cervello. Aumentare la memoria, prevenire malattie, liberare le arterie, rafforzare i muscoli e i vari tessuti. Insomma diventeremo tutti un po’ cyborg.

Le macchine si stanno avvicinando a noi sempre di più. Prima erano lontane, appoggiate a un mobile, come i primi telefoni domestici. Ora, con i cellulari, sono entrate sotto i nostri vestiti. Le teniamo sempre in tasca, vicino alla pelle. Domani le avremo dentro di noi. C’è chi è elettrizzato a questo destino, O’Connell ne è spaventato e ci avverte.

Le macchine ci salveranno dalla morte, o ne saranno la causa? C’è inoltre il timore che le macchine, che abbiamo costruito per aiutarci, ci renderanno un giorno schiavi. Ma non è forse già successo senza che ce ne accorgessimo? Non è stata una rivoluzione violenta, come la rivolta dei cyborg di Terminator (raccontata da James Cameron nel 1984) e prima ancora da Isaac Asimov in Io robot, ma già adesso quando il cellulare ci manda una notifica, noi fermiamo la nostra vita per obbedirgli. L’era della singolarità tecnologica è già iniziata, e non ce ne siamo nemmeno accorti.

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