Lucia Perez, 16enne argentina, è stata drogata, stuprata, impalata, dunque è morta. Che sorpresa, eh? Una donna che subisce tante torture e poi muore? Non è credibile. Questo è quello che sostanzialmente ha affermato la sentenza di assoluzione degli stupratori. Sono stati condannati solo per aver venduto droga ma non per quello che hanno fatto dopo. La pm Maria Isabel Sanchez, ora sotto inchiesta per comportamento lievemente intriso di pregiudizi, non ha preso in considerazione le prove fornite dall’accusa. Lucia sarebbe stata consenziente nel farsi stuprare, impalare e uccidere. Niente stupro, niente femminicidio, nessuna Lucia Perez. La sua memoria è stata cancellata assieme a quella delle tante altre vittime di stupro e femminicidio. Lucia è stata umiliata, mortificata, messa in discussione. La sua sessualità è stata giudicata e così le sue “abitudini”. Praticamente se l’è cercata e dunque è stata lei a subire una condanna coi fiocchi.
Stessa cosa è successa mesi fa alla ragazza vittima di stupro alla festa di San Firmin, a Pamplona. Minimizzata l’accusa, ridotta la percezione dell’abuso, trattati coi guanti i cinque stupratori. Ed è così che le donne, le femministe, coloro che hanno supportato le vittime, vive o morte, di questi crimini, hanno smesso di essere timide, zittite dal ricatto imposto da istituzioni patriarcali come i tribunali, mai dalla parte delle vittime, mai in grado di considerare le gravi conseguenze di ogni atto di violenza di genere.
Durissimi commenti sono stati diffusi a ricordare quanto sia grave avallare azioni criminali di questo tipo con sentenze di assoluzione o giudizi addolciti per via dello stigma che si portano dietro le vittime. È una lotta infame quella che ogni giorno costringe le donne a dover ricordare che la cultura deve cambiare, che serve prevenzione e l’educazione alla prevenzione, che vi piaccia o no, viene diffusa soprattutto fuori dai tribunali. Bisogna contaminare la società e poi le istituzioni dovranno cambiare di riflesso.
Ma come è stato possibile ignorare i certificati medici, gli esami sul corpo di Lucia Perez, tutto quello che prova precisamente che lei non può aver dato consenso a uno stupro con impalamento finale? Ricordo che l’Italia non è affatto immune dalla cultura dello stupro. Quando una ragazza fu trovata quasi morta, gettata sulla neve, fuori da una discoteca de L’Aquila, perché stuprata da italici militari, si disse che tutto era stato consensuale. E le ferite gravissime riportate per penetrazioni con oggetti che l’hanno lacerata profondamente? Pare gli sia scivolata la mano, con oggetto allegato. Si parlò infatti di rapporto consenziente, con prestazioni sadiche ma condivise.
Chiunque abbia a che fare con il bdsm sa che non ci si spinge mai sino alla morte e che la consensualità è espressa prima, durante e dopo il rapporto sessuale. Non c’è sesso più consensuale se il consenso deve essere espresso lungo il corso del rapporto. Lei o lui possono dire si, no, forse, basta, andiamo avanti e hanno il potere di fermare tutto quando lo preferiscono. Chi parla di rapporti “sadomaso” e consensuali non ha la più pallida idea di quello che sta dicendo.
La morte di Lucia Perez non è stata accidentale, non è successo per caso, non è un rapporto finito male. È uno stupro, si chiama tortura ed è femminicidio. È quello che è successo e che ha portato tantissime donne nelle piazze dell’Argentina, le stesse donne di Non Una Di Meno che ora parlano di vendetta patriarcale. Una vendetta tesa a colpire le donne che hanno chiesto aborto libero, gratuito e sicuro. Le stesse che da tanto tempo ormai scuotono l’opinione pubblica con temi che – tra chi popola le istituzioni – sono sconosciuti proprio a chi dovrebbe fare qualcosa per cambiare.
Per tutte le donne che sono state stuprate, uccise o sopravvissute, per quelle che ogni giorno lottano contro una cultura che ci uccide poco a poco, bisogna ricordare Lucia e chiedere giustizia per lei. Una giustizia che, a questo punto, non ci si può aspettare dalle istituzioni complici nel reiterare la cultura dello stupro. Le istituzioni, come ben sanno le compagne argentine, sono quelle che ammazzano persone che lottano contro ogni autoritarismo. Le polizie sono quelle che criminalizzano le vittime perché non sono neppure state formate su quel che è la violenza di genere. I tribunali sono ancora, purtroppo, luoghi all’interno dei quali i processi vengono svolti contro le vittime e non contro i carnefici. E i giudici sono persone, con i loro pregiudizi e mille stereotipi in testa difficili da distruggere.
Ecco perché le femministe lottano affinché la cultura di tutt* cambi. Se la cultura cambia allora cambierà anche la percezione della violenza di genere e delle sue vittime. Il fatto che non si riesca a provare empatia nei confronti di una vittima come Lucia Perez è gravissimo perché dimostra tutte queste cose e pur se con rammarico devo dire che dimostra anche che siamo sulla strada giusta. Per Lucia, per tutte: noi ci salviamo da sole. Insieme alle altre, unendo solitudini sofferte e tirando fuori la forza che ci permetterà di distruggere la mentalità che rende alcuni uomini quei carnefici che dimostrano di essere.