“Tanto non uso droghe”. “Non sono mica gay”. “Lo conosco, posso fare sesso non protetto con lui”. “Io? No, mi imbarazzo a tirarlo fuori dalla borsetta il preservativo, se ne deve occupare l’uomo”. “Ma io mi vergogno a comprarli”. “Mi danno fastidio e secondo me provo meno piacere”. “Non serve, la mia ragazza prende la pillola”. In Italia tra i giovani c’è ancora troppa poca consapevolezza sull’importanza del preservativo e una resistenza atavica nell’usarlo. Eppure è l’arma migliore per proteggersi dalla trasmissione del virus Hiv (e da tutte le malattie sessualmente trasmissibili). Secondo una recente indagine della Federazione italiana di sessuologia scientifica (Fiss), solo il 56,6 per cento degli italiani dichiara di usare un contraccettivo e tra questi non tutti preferiscono il condom maschile (il 76,6 per cento). “Confondono la prevenzione delle gravidanze indesiderate con quella dalle infezioni che si possono prendere durante un rapporto sessuale – racconta Antonietta Spadea, infettivologa e responsabile del dipartimento promozione salute dell’asl Roma 1 -. Molti sono convinti che il rischio di contrarre l’Hiv riguardi soltanto gli omosessuali ma è un pregiudizio”. Nell’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità (Iss) sulle infezioni da Hiv, appena uscito, emerge che nel 2017 la modalità di trasmissione principale tra le nuove diagnosi è stata attraverso i rapporti sessuali non protetti, soprattutto eterosessuali (45,8 per cento; mentre il 38,5 per cento riguarda i maschi che fanno sesso con i maschi). In tutto 3443 nuovi casi, pari a 5,7 per 100mila abitanti, un dato stabile dal 2015 e in linea con la media europea.
L’incidenza più alta è stata registrata proprio tra i giovani adulti, nella fascia di età compresa tra i 25 e i 29 anni. Tre le regioni più colpite: Lazio, Liguria e Toscana. “Il contagio Hiv avviene tramite ripetuti contatti con il liquido biologico del partner, cioè sangue, sperma, liquido della mucosa vaginale, del collo dell’utero o dell’ano – spiega la dottoressa -. Nell’atto sessuale la mucosa può infatti andare incontro a delle micro ferite che favoriscono il passaggio del virus. Oggi ci sono diversi farmaci per tenere sotto controllo l’infezione garantendo una normale sopravvivenza del paziente. La malattia, l’Aids (sindrome da immunodeficienza acquisita, ndr), subentra quando il livello delle cellule che producono gli anticorpi si abbassa e quasi azzera le difese immunitarie del soggetto, che alla fine può morire per una banale influenza”.
Oggi, XXX giornata mondiale contro l’Aids, questa malattia purtroppo non fa più paura. Dall’indagine appena conclusa di Anlaids, l’associazione nazionale per la lotta contro l’Aids, su un campione di 14mila studenti delle scuole medie superiori, risulta che i giovanissimi ignorano quasi del tutto che cosa sia l’Hiv e l’Aids e come si contagia. “Ci sono tante false credenze – sottolinea Rosario Galipò, referente del progetto -, molti pensano che il virus venga trasmesso all’uomo tramite la puntura di zanzara o nei bagni pubblici toccando i servizi igienici sporchi, o con un bacio. Abbiamo notato che nelle famiglie credenti tra genitori e figli si parla meno di sesso e la motivazione principale dei ragazzi che non usano il profilattico è che rovina l’atmosfera”. Giovanni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell’Iss constata che “ci sono molti meno morti per Aids rispetto agli anni ‘90, è vero, ma comunque la percezione del pericolo resta bassa e spesso si arriva tardi alla diagnosi, quando le condizioni sono già compromesse”. E il sommerso è ancora alto. Gli italiani sieropositivi che non sanno di esserlo perché non hanno mai fatto il test sono tra i 12mila e i 18mila, nonostante almeno un terzo (circa 6mila) di loro abbia una situazione immunitaria già danneggiata. “Un tempo il ministero aveva più soldi per finanziare campagne di informazione tutto l’anno e adesso scontiamo una perdita di memoria generazionale” dice Rezza. Facilitare l’accesso ai test, promuovere l’uso del preservativo e potenziare gli interventi di prevenzione sarebbero gli obiettivi del Piano nazionale Aids, varato il 26 ottobre di un anno fa dalla Conferenza Stato-Regioni. “Ma è un piano isorisorse, se non si prevedono nuovi investimenti ci dobbiamo accontentare delle solite iniziative a spot, senza grandi passi in avanti” è la reazione di Massimo Galli, presidente della Società italiana di malattie infettive e tropicali.
E chi dovrebbe occuparsi di educazione al sesso protetto e prevenzione dell’Hiv/Aids? I Comuni, le scuole, le associazioni, i centri per l’Aids e i centri Mts (per le malattie sessualmente trasmesse) delle aziende sanitarie locali. “È molto faticoso farsi conoscere sul territorio e promuovere l’uso del preservativo. Ci sono grandi tabù e l’attenzione maggiore è sulle terapie pre e post esposizione” mette in evidenza Gianmarino Vidoni, responsabile del servizio Mts dell’Ats di Milano, che tre anni fa con Unlaids Lombardia ha lanciato l’app Smart sex, per smartphone e tablet per fornire tutte le informazioni sulle malattie trasmesse sessualmente. Anche i sert, cioè i servizi per le tossicodipendenze, tra cui droga e alcol, dovrebbero impegnarsi nella prevenzione. Ma per raggiungere i più giovani ci sono pochi mezzi. “Una volta i tossici di eroina si infettavano perché usavano la stessa siringa, oggi quasi più nessuno si droga per via endovenosa, e il problema è diventato il numero crescente di ragazzi che fa uso di sostanze psicoattive, come cocaina e Lsd, e che perdendo il controllo si espongono a comportamenti sessuali scorretti – fa presente Claudio Leonardi, che dirige l’unità delle dipendenze patologiche dell’asl Roma 2 -. Ma è difficile agganciarli. Noi per la carenza di fondi facciamo meno interventi negli istituti e loro, convinti di poter smettere quando vogliono, considerano i Sert l’ultima spiaggia per eroinomani che si bucano”. Mentre è in aumento il consumo di droghe tra gli adolescenti, nei Sert continuano a non esserci preservativi da distribuire agli utenti e gli organici sono ridotti all’osso. “Da cinque anni ci mancano due medici, due assistenti sociali e uno psicologo – dice la responsabile del Sert di Lodi, Concetta Varango -. Non riusciamo a dare a tutti risposte immediate nel momento del bisogno, spesso non trovano nessuno quando vogliono sfogare la rabbia e li perdiamo. E – aggiunge Varango – per agganciare gli adolescenti avremmo bisogno di spazi separati da quelli frequentati dai tossici più vecchi, cronici, con la carcerazione alle spalle. Sono ragazzi fragili che vanno protetti da altre persone vulnerabili. Servono attività di animazione, laboratori creativi, di musica e teatro, e psicoterapia di gruppo. Prima che il giovane consumatore diventi un tossico. Purtroppo però arrivano tardi da noi, a 20/25 anni, dopo anni di abuso”.
Il modello del Sert andrebbe allora ripensato. “Questi servizi nascono sul modello dei dipendenti da eroina, come servizio di cura e di distribuzione di metadone, oggi la sfida è uscire dall’ambulatorio, andare nelle scuole, fuori dai locali, munendosi di operatori di strada – dichiara Francesco De Matteis, direttore dei sert di Siderno e Polistena, in provincia di Reggio Calabria -. Non possiamo aspettare che sia il tossico minorenne a bussare alla nostra porta”. Da Milano Riccardo Gatti, a capo del dipartimento dipendenze dell’Ats metropolitana, sostiene l’esigenza di intercettare i giovani iperconessi attraverso una nuova strategia di comunicazione. “Serve un sito web funzionale, attraente, con la mappa dei centri, una serie di informazioni utili e ben visibili, magari un’app e la possibilità di contattare il Sert tramite un messaggio Whatsapp. Tutti sanno dove trovare la droga a basso costo e nessuno sa dove sono i servizi per le dipendenze, sul motore di ricerca è difficile trovarci”. Gatti propone anche orari di apertura più lunghi e sedi aperte di sera e nel weekend per facilitare i nuovi accessi.