Ho visto che in questi giorni la mia riflessione sull’uso del brano La fine del mondo di Anastasio per spiegare Leopardi ha destato l’attenzione di diversi colleghi insegnanti. È accaduto anche perché è stata condivisa, fra gli altri, dal sito OrizzonteScuola, uno dei più seguiti. Risulterà ulteriormente utile allora provare ad approfondire i differenti usi possibili della canzone a scuola, perché il mio precedente post non ne descriveva che un aspetto. Le seguenti proposte fanno parte del mio corso per la formazione dei docenti su questo argomento, e derivano sempre da esperienze pluriennali sperimentate in classe.
Anzitutto, ci tengo a dire che l’uso della canzone nelle ore di lettere, da me descritto per Anastasio e Leopardi, non è che una delle due modalità principali. Sono due, sono estremamente differenti e possono essere definite come segue:
1. Finalità imitativa: nella prima direzione, consigliata principalmente per la secondaria di primo grado, la canzone può essere un punto di partenza di un compito di realtà, ovvero linguaggio immediatamente comprensibile dall’alunno per avvicinarsi e digerire certi argomenti del programma ministeriale. Alunno che di conseguenza acquisirà maggiore familiarità e dimestichezza con essi.
2. Finalità analitica: nella seconda direzione, consigliata principalmente per la secondaria di secondo grado, questa volta in maniera inevitabilmente letteraria, ci si concentrerà maggiormente sulla poetica di determinati cantautori, così da esaltarne temi ricorrenti, immaginario artistico che plasma e riflette il mondo circostante.
Un cospicuo uso imitativo della canzone favorirà più avanti, nella carriera scolastica degli alunni, un maggior apprezzamento di un uso analitico. Sono però modalità del tutto differenti. Con finalità imitativa è possibile usare la canzone in diverse discipline, non necessariamente umanistiche. È chiaro che, come succede con Anastasio, sarà bene cercare canzoni esteticamente valide. Restando appunto all’esempio del mio scritto precedente, ci sono vicinanze significative tra la richiesta di fierezza e dignità della disfatta dell’io poetico della canzone di Anastasio e quella della ginestra leopardiana, di fronte all’umanità intera che al contrario si crede invincibile ed eterna.
La finalità analitica invece è plausibile solo nelle materie umanistiche e si riferisce al fatto di indagare la poetica di un determinato cantautore in quanto materia letteraria, tenendo conto dell’esclusività del codice. In questo caso è difficile che ci si possa allontanare da un certo canone dei cantautori, ed è indispensabile che la sapienza letteraria dei brani proposti abbia dignità canonica. Per restare a Leopardi, si può citare il caso di Roberto Vecchioni e della sua poetica della felicità, del tempo verticale e del superamento del dolore. Nel brano L’infinito, che dà il nome all’ultimo recentissimo disco del cantautore milanese, Vecchioni cita esplicitamente Leopardi, prende a prestito il titolo della sua poesia più famosa e nella canzone – che è un prosimetro – come punto di partenza recita passi di due lettere di Giacomo al padre Monaldo. Ma lo fa rovesciando completamente la prospettiva del poeta di Recanati, lo fa per servirsi dell’immaginario collettivo leopardiano: ed è fuor di dubbio che lì Vecchioni canti se stesso. Il padre di Roberto, Aldo, era infatti di Napoli, e allora Vecchioni ne L’infinito non fa altro che cantare la città e l’intero brano serve per sconfiggere il dolore e realizzare la propria poetica.
Quello di Vecchioni è un finissimo meccanismo letterario che ha dignità artistica autonoma a tal punto da dover essere insegnata a scuola. Quello di Anastasio è un ottimo modo per entrare nella lunghezza d’onda dei ragazzi, tramite un loro linguaggio amato, con un brano che per contenuto si avvicina molto, e in maniera esteticamente valida, a un importante argomento del programma: argomento da affrontare ovviamente prima di tutto con i metodi canonici.