Giuseppe Conte ha visto Jean-Claude Juncker a margine del G20 in Argentina e al centro della discussione naturalmente c’è stata la manovra italiana. Proprio in queste ore infatti l’esecutivo sta valutando quali rimodulazioni poter fare per andare incontro alle osservazioni dell’Ue e salvaguardare al tempo stesso le riforme: solo ieri si è parlato di un taglio di 5 miliardi, subito smentito da fonti di Palazzo Chigi. “Con Juncker non abbiamo parlato di numeri finali”, ha detto il premier. “Ma è stato un incontro molto costruttivo, stiamo valutando vari scenari”. Quindi ha concluso: “Chiarito che non rinunciamo alla prospettiva delle riforme, e dall’altra parte anche l’Ue è entrata nell’ottica che c’è una prospettiva riformatrice da realizzare”, la trattativa va nella stessa direzione. Ed evitare la procedura d’infrazione è nell’interesse “dell’Italia e anche dell’Europa”. Nello specifico, Conte ha detto che “il punto di incontro concreto c’è, nella misura in cui io sono il garante dei cittadini, del patto politico e sociale”, che prevede “l’attuazione di riforme che servono ad assicurare crescita e coesione sociale e garantire equità. Detto questo credo che bisogna lavorare su tutto il resto”. Il presidente ha anche sottolineato che nell’incontro con Juncker non “si è parlato di Pil” e quindi della stima al ribasso comunicata ieri dall’Istat. Gli interlocutori europei – ha assicurato – “condividono però del tutto la prospettiva italiana di assecondare una crescita che non c’è stata e una politica sociale efficiente”: “Ogni volta che ci si siede ad un tavolo negoziale e, alla fine, ci si dà la mano e ci si guarda negli occhi, si è fatto un passo avanti”.
A ribadire che ci sono delle possibilità di apertura, anche Luigi Di Maio. “Questo dev’essere chiaro alla Ue e ai cittadini italiani”, ha detto. “Poi nella trattativa se non si chiede al governo di tradire gli italiani, perché noi non tradiremo gli italiani possiamo portare avanti tutti i punti di caduta e i compromessi che vogliamo”. Nel merito ha anche garantito che non si vedrà al ribasso il reddito di cittadinanza e, come smentito da fonti di Palazzo Chigi, non c’è ipotesi di ridurlo a 500 euro: “Non dobbiamo aggrapparci a questi numerini: oggi il tema principale è che se l’economia rischia di fermarsi dobbiamo fare una manovra che mette soldi nell’economia. Con questa manovra mettiamo 37 miliardi in investimenti per il rischio idrogeologico, nei pensionamenti di chi non poteva andare in pensione con la legge Fornero, nel reddito di cittadinananza, nell’abbassamento delle tasse alle imprese”.
Intanto chi ha detto di essere allarmato è il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. “Con il Pil in calo e l’economia in frenata, il rischio di una recessione c’è, perché il rallentamento globale dell’economia, la frenata della Germania insieme ai dati dell’Italia ci obbligherebbe a mettere a punto una manovra economica non solo espansiva ma anche finalizzata alla crescita“. E ha continuato: “Una cosa è una manovra espansiva e un’altra una legge di bilancio orientata alla crescita. Non c’è equilibrio tra la parte espansiva – che riguarda tre grandi categorie: la flat tax per gli autonomi, la riforma delle pensioni e il reddito di cittadinanza, – e le ragioni della crescita”, osserva Boccia, che ribadisce: “Questa legge di bilancio sul fronte crescita è molto debole, addirittura su molti aspetti la depotenzia. Quando si depotenziano strumenti come industria 4.0, quando si dimezzano le dotazioni di ricerca e sviluppo e si chiudono i cantieri pubblici anziché aprirli secondo la logica delle infrastrutture e degli investimenti pubblici, abbiamo difficoltà a capire come questa manovra possa avere un impatto sull’economia reale”. Boccia ha anche contestato l’esultanza di Di Maio nel merito dei contratti stabili in aumento, come annunciato dall’Istat, che sarebbero dipesi dal decreto Dignità: “L’aumento dei contratti stabili rispetto a quelli a termine messo in evidenza dall’Istat non dipende dal decreto dignità. L’unica cosa che questo provvedimento può comportare”, ha chiuso Boccia, “è l’aumento del turn over perché dopo un anno si avviano le cosiddette causali e le imprese per evitare le conflittualità alla fine del primo anno cambiano il personale. Il decreto dignità è a risorse zero. Se si vuole aprire una stagione d’inclusione nel mondo del lavoro ci vorrebbe più coerenza. Per esempio un piano di inclusione giovani nel mondo del lavoro che preveda la riduzione di tasse e contributi per chi assume”.