Un altro morto nell’inferno di San Ferdinando. Suruwa Jaithe, un ragazzo di 18 anni originario del Gambia, è morto carbonizzato nella baraccopoli della zona industriale di Gioia Tauro, a ridosso del porto. Un altro morto che si poteva evitare se, come tutti i politici degli ultimi 30 anni hanno promesso, si fosse trovata una soluzione alternativa al ghetto dove vivono i raccoglitori stagionali di arance costretti a lavorare nei campi della Piana per meno di 20 euro al giorno. L’incendio è divampato nella notte tra l’1 e il 2 dicembre e ha ucciso un ragazzo del Gambia. Secondo la ricostruzione dei vigili del fuoco, il rogo che ha distrutto due baracche si sarebbe sviluppato in seguito ad un braciere improvvisato e acceso in una delle baracche da qualcuno tra i migranti per riscaldarsi dal freddo della notte. Probabilmente, stando ai racconti dei soccorritori, quando il fuoco ha interessato la tenda l’uomo stava ancora dormendo, non si è accorto delle fiamme e non ha fatto in tempo a scappare. L’incendio è stato spento dai vigili del fuoco che stazionano nella zona e dagli stessi migranti. Il ragazzo del Gambia morto ieri sera non è la prima vittima che muore in questo modo a San Ferdinando.
Suruwa Jaithe fino a pochi giorni fa era ospite dello Sprar di Gioiosa Jonica gestito dalla rete dei comuni Solidali e avrebbe dovuto cominciare a dicembre un tirocinio di 4 mesi. Non si hanno informazioni sul motivo per cui ha lasciato il ragazzo ha lasciato il centro di accoglienza ed è finito nella baraccopoli di San Ferdinando. Tra le ipotesi più accreditate che, in queste ore, fanno i braccianti che lo conoscevano c’è quella che Suruwa temesse gli effetti del decreto Sicurezza e potesse essere da qui a pochi giorni allontanato dallo Sprar che lo ospitava. Giovanni Maiolo, presidente Rete dei comuni solidali: “Ora dovrò chiamare una madre per dirle come è morto suo figlio”.
In mattinata il prefetto di Reggio Calabria Michele Di Bari ha convocato d’urgenza un comitato per l’ordine e sicurezza pubblica che si terrà nella sede municipale del comune di San Ferdinando. All’interno della tendopoli, gran parte dei migranti sono regolari e lavorano nella piana di Gioia Tauro come raccoglitori stagionali di arance. Cgil e Flai Calabria in una nota hanno denunciato il fatto che sulla tendopoli di San Ferdinando l’allarme sia stato lanciato da anni senza che nessuno sia davvero mai intervenuto. “Siamo profondamente sconvolti”, si legge in una nota. “Probabilmente, è stato lo stesso fuoco acceso nella baracca, per trovare riparo dal freddo, a scatenare le fiamme che hanno ucciso il giovane migrante proveniente dal Gambia, in cerca di riscatto e di condizioni di vita migliori. Quanto successo rappresenta tragicamente il dramma quotidiano che esiste all’interno della tendopoli di San Ferdinando, dove centinaia di extracomunitari vivono in condizioni non degne di un Paese civile“.
È uno scatto del rogo della baraccopoli di #sanFerdinando .
La dimostrazione tragica e disumana del fallimento delle politiche su immigrazione e lavoro nei campi.
Servono soluzioni non slogan! #stayhuman pic.twitter.com/8ynkMNPLNu— CGIL Nazionale (@cgilnazionale) December 2, 2018
A gennaio era toccato a Becky Moses, una ragazza nigeriana di 26 anni uccisa da un incendio, in quel caso doloso, che aveva interessato oltre 200 baracche. Quando è morta, la donna era arrivata a San Ferdinando da pochi giorni perché costretta a lasciare lo Sprar di Riace in seguito al secondo diniego alla sua richiesta di asilo. Non potendo più fare appello per la terza volta, dopo la modifica del regolamento voluto dal precedente governo, Becky Moses è finita nel ghetto dove ha trovato la morte. Ad aprile, la polizia arrestò una donna nigeriana di 47 anni, Lise Emike Potter, con l’accusa di essere la mandante del rogo. Secondo l’accusa, la donna avrebbe commissionato l’incendio ad alcuni connazionali, dietro pagamento di una somma di denaro, per vendicarsi di una 25enne che sospettava avere una relazione col suo ex convivente. In precedenza, altri incendi si erano sviluppati nella tendopoli nel dicembre 2017 e nel luglio 2017, fortunatamente senza provocare vittime.
“Le aziende agricole devono occuparsi anche dell’alloggio di questi lavoratori. Se non ce la si fa, allora si devono mettere in campo altre risorse come quelle europee o l’impegno dei sindaci nell’accoglienza diffusa”. Erano state le parole del presidente della Camera Roberto Fico in occasione della visita fatta a giugno alla tendopoli. Direttamente ai migranti si era rivolto invece il ministro dell’Interno Matteo Salvini quando a luglio è entrato all’interno della baraccopoli sostenendo che “i buonisti dovrebbero venire a San Ferdinando a vedere le condizioni incivili in cui vivono dentro e fuori dal campo. Voglio mettere un po’ di regole e un po’ di controlli per garantire diritti a chi richiede diritti e non a tutto il mondo”. Regole, controlli e diritti che, dopo 4 mesi, i migranti della tendopoli stanno ancora aspettando. E nel frattempo continuano a morire per il freddo.