Ambiente & Veleni

Brasile, la deforestazione dell’Amazzonia è solo l’inizio. Dobbiamo rispondere a Bolsonaro

Il fatto degno di nota avvenuto in Brasile di recente è, tra gli altri, che il nuovo presidente Jair Bolsonaro (anche se non da solo è ovvio) ha cancellato la prevista conferenza mondiale sul clima che avrebbe dovuto avere luogo tra un anno nel Paese. Questo fatto mi dà lo spunto per parlare della situazione generale di Brasile e dintorni. Si tratta ovviamente di un’estrema sintesi, e sono perfettamente consapevole del fatto che è ovvio che un argomento simile richiederebbe pagine e pagine di trattazione, un intero libro.

Partiamo dal fatto. Il governo brasiliano in fase di insediamento rompe totalmente con la linea adottata negli ultimi 25 anni. Al Brasile pertiene un’enorme parte dell’Amazzonia, con un bacino fluviale e botanico dal quale dipende in buona parte il clima di tutto il mondo. La linea del governo precedente, nonostante la deforestazione selvaggia, era comunque un fiore all’occhiello del Brasile, attento alle politiche ambientali. Potrebbe essere considerata ipocrisia della cosiddetta sinistra, che è proprio quella da ringraziare per l’elezione di Bolsonaro, visto che sembra sia stata quella più corrotta della storia del Paese. Molti brasiliani non ne potevano più. Ma qui si aprirebbe un lunghissimo discorso da fare in altra occasione. Basti sapere che il grande fotografo brasiliano Sebastião Salgado ha dichiarato in un’intervista che il Brasile è impazzito, mentre per lo psicanalista saggista e professore di filosofia della psicanalisi della Unifesp Tales Ab’Saber, vincitore di diversi premi letterari, il Brasile è in crisi di identità e Bolsonaro pratica una “politica della paranoia”.

Gli altri Paesi e l’Onu assumono una posizione “tecnica”. La conferenza ha luogo, a rotazione, in cinque regioni del pianeta, e questa è la volta dell’America Latina. Ma nessuno nasconde che l’atteggiamento del nuovo governo brasiliano è preoccupante, visto che Bolsonaro non fa mistero di voler consegnare ciò che resta del “polmone del mondo” a varie multinazionali. Ma in realtà un cambiamento di politica era già avvenuto dopo la caduta di Dilma Rousseff. Per esempio già nel 2017 l’esercito Usa aveva effettuato esercitazioni in Amazzonia, insieme ai brasiliani, poiché questi ultimi hanno la più grande esperienza al mondo in fatto di guerriglia nella foresta. Dispongono infatti di un corpo specialissimo: il battaglione della selva, sorta di marines amazzonici.

Non solo, ma in Brasile nell’ultimo anno il tasso di deforestazione è salito al 29%. E Bolsonaro non c’entra niente. La situazione del pianeta è veramente molto grave. Si tratta di una vera emergenza. Negli ultimi anni l’Amazzonia è stata letteralmente saccheggiata. Due anni fa l’esplosione della diga di Mariana ha causato uno dei maggiori disastri ambientali della storia. Passato per lo più sotto silenzio. Ha addirittura inquinato l’oceano Atlantico, distruggendo il Rio Doce. In tutto il mondo, dall’Amazzonia al Borneo stanno letteralmente radendo al suolo le foreste per collocare immense piantagioni di palma da olio, soia e canna da zucchero. Servono per ingrassare la popolazione e poi doverla curare e per produrre carburanti per inquinare il pianeta.

Ma non basta. Il Brasile non solo è in recessione, ma sta assistendo a un aumento delle lotte tra bande di narcotrafficanti, con una violenza inaudita. E, come se non bastasse, altri Paesi che non se la passano affatto bene premono alle frontiere, poiché hanno concretamente e disperatamente bisogno di aiuto. Ci sono campi profughi al confine col Venezuela, la cui situazione è gravissima, apocalittica. Nel frattempo, senza foreste, aumenta la temperatura del pianeta. Se va avanti così ne abbiamo ancora per 50 anni, non di più. Poi anche i ritardatari dovranno capire che così non funziona. Siamo seriamente nei pasticci. Secondo la scienza saremo finiti, non ci sarà più niente da fare.

Secondo altri – utopisti, poeti, ricercatori spirituali, spiritisti, artisti, creativi – ci sono invece buone probabilità che si tratti di un passaggio obbligato all’interno di uno schema evolutivo incomprensibile, ma coerente. Dunque ce la possiamo fare, ma a condizione di cambiare totalmente paradigma. Ovvero mettendo al primo posto non la crescita, la competizione, il denaro, bensì l’armonia, la cooperazione, l’amore. Questa visione capisco che possa far storcere il naso ai lettori di un giornale fortemente impegnato sul piano dell’informazione politica e sociale e non psicologica e spirituale, ma dopo lunghe riflessioni ho deciso di sdoganarlo. E ho deciso di sdoganarlo poiché stanno fiorendo (sia in Brasile che altrove) progetti costruttivi che coinvolgono l’Amazzonia, le foreste e gli indigeni, che sebbene siano un 3% della popolazione, sono di fatto i guardiani non solo della biodiversità, ma anche di tradizioni arcaiche che anche i più ostici potrebbero prima o poi riconoscere avere un valore strategico per la sopravvivenza dell’umanità. Mentre per Bolsonaro tenerli nelle riserve è come tenere animali nel giardino zoologico e ritiene che vorrebbero diventare come noi. Su questa sua opinione nutro profondi dubbi.

Ritenete ci siano altre possibilità di salvarci se non cambiare radicalmente, a livello massivo e di vertice, il modo di pensare? Selvagem è il titolo di un recente incontro che ha avuto luogo al giardino botanico di Rio organizzato dalla Dantes Editora, molto impegnata in questa direzione. Ha dato largo spazio a capi ed esponenti di tribù indigene (così come il precedente ColaborAmerica, sempre a Rio). Qui Lidia Urani, operatrice culturale italiana, ha presentato il suo progetto di musica dalle piante, intitolato Encanto da Floresta. Si avvarrà di un dispositivo ideato e realizzato dalla comunità di Damanhur (che ha sede in Piemonte), il quale sfrutta le differenze di carica elettrica tra diverse parti della pianta per produrre suoni armonici e coerenti. L’intento di questi progetti non è solo quello di fare poesia, ma di sensibilizzare seriamente popolazione, capi e istituzioni a prendere in considerazione la salvaguardia e il recupero, a livello planetario, del rapporto con la natura, delle tradizioni ancestrali e del rispetto per la terra e l’ambiente naturale. Le culture delle foreste, dei deserti, delle montagne, delle aree rurali hanno la capacità di vivere in totale armonia con la natura, fin dai tempi più remoti.

Qualsiasi sia la posizione dei governi non serve mettersi le mani nei capelli. Potrà forse servire protestare, ma la storia insegna che molti danni non c’è mai stato modo né di evitarli né di prevenirli né di limitarli. Occorre cambiare paradigmi. I potenti, per limitati e psichicamente disturbati che siano, non si combattono con fake news o post ricolmi di odio e la protesta nelle piazze può essere significativa, ma da sola non basta. La sensibilizzazione culturale e ambientale è utile per tentare di fare in modo che un po’ di luce entri in quelle menti devastate dalla sete di potere e dall’ignoranza. Lo ripeto, io non riesco a vedere molte altre vie di uscita. La sopravvivenza del pianeta e dell’umanità sono dovute alla consapevolezza, al rispetto, all’amore per la terra, alla conoscenza dei segreti della natura, alla comprensione di cosa siamo venuti realmente a fare su questa pianeta.