La corsa al voto di maggio ha una caratteristica senza precedenti: la polarizzazione tra partiti “tradizionali” e l’ala nazional-populista guidata dalla Lega di Salvini. Ma tra i due blocchi c'è un gruppo di riformisti che non mette in discussione l'appartenenza all’Unione e che, allo stesso tempo, vuole provare migliorarla. Da La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon a Marisa Matias del portoghese Bloco de Esquerda, fino ai Verdi tedeschi di Ska Keller
I Socialisti crollano, i Popolari arrancano ma resistono, la compagine liberale rappresenta un’incognita anche grazie alla costante perdita di consensi di Emmanuel Macron e la sua En Marche!, la new entry che doveva dare slancio al gruppo. Sovranisti e neo-nazionalisti, nonostante sia diminuita la crescita impressionante avuta tra il 2017 e il 2018, continuano a guadagnare terreno sugli altri partiti. La corsa alle europee di maggio 2019 ha una caratteristica senza precedenti: una polarizzazione tra partiti cosiddetti “tradizionali” e l’ala nazional-populista europea con a capo la Lega di Matteo Salvini.
Ma tra questi due grandi blocchi non c’è il vuoto e a dimostrarlo sono state, per prime, le recenti elezioni nei Land tedeschi di Baviera e Assia. Sparsi per l’Europa continuano a esserci e, in alcuni casi, a crescere partiti europeisti che, su tematiche come l’austerity, non risparmiano critiche al sistema Europa. Niente conservatorismo, quindi, ma nemmeno il disfattismo e l’avversione all’Ue che caratterizza la maggior parte dei partiti e movimenti euroscettici. Un gruppo che potremmo definire di critici riformisti che non ha intenzione di rinunciare alla propria appartenenza all’Unione europea ma che, allo stesso tempo, ha deciso di cambiarla e migliorarla.
Podemos, O’Bloco e Partito Socialista portoghese, l’asse iberico
In Spagna, la voce grossa degli anti-austerity la fa certamente Podemos, il partito di stampo socialista, ecologista, anti-austerity e fedele al concetto di democrazia partecipativa nato nel 2014 dal movimento degli Indignados e guidato da Pablo Iglesias Turrión. Partito da posizioni estremiste e anti-Euro, tanto da essere etichettato come un movimento populista di sinistra, negli ultimi anni Podemos ha abbracciato un europeismo di stampo critico-riformista. Gli ultimi sondaggi danno il partito intorno al 17%, in calo rispetto alle ultime elezioni del 2016, quando ottenne il 21% delle preferenze.
Se i numeri raccontano una flessione, a livello nazionale Podemos può contare su una maggiore influenza sull’esecutivo, come testimonia l’accordo varato sui Presupuestos della legge di bilancio 2019 insieme al leader del Partito Socialista al governo, Pedro Sánchez. Un testo che i media spagnoli hanno definito “il più a sinistra della storia” spagnola e che, tra i vari provvedimenti, prevede una patrimoniale, l’aumento del salario minimo, Tobin tax, lotta all’evasione, politiche per la casa, parità di genere e riforme ambientaliste. Un riavvicinamento, quello tra Podemos e Psoe, che potrebbe dare vita a una futura e più salda coalizione di governo, facilitata anche dal crollo dei Popolari iniziato dopo la sfiducia all’ex premier Mariano Rajoy, e così influenzare anche il voto alle prossime elezioni europee di maggio 2019, con il partito di Iglesias Turrión che andrebbe a portare voti e seggi al gruppo della Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica (Gue/Ngl).
Le formazioni anti-austerity sono forti anche nel vicino Portogallo. Quando il primo ministro António Costa ha deciso, nel 2015, di dar vita a una maggioranza di governo composta dal suo Partito Socialista e dalle altre anime della sinistra lusitana, anche estrema, ha allo stesso tempo deciso di accettare un approccio marcatamente di sinistra, socialista e critico verso le politiche di austerity imposte al Paese negli anni precedenti. Così, dopo cinque anni di governo di centro-destra che aveva negoziato con Bruxelles le politiche economiche che permettessero al Paese di affrontare la crisi, Costa ha avviato riforme che si allontanano dalle politiche di austerity, grazie anche ai buoni numeri riguardanti la crescita economica.
Tra i partiti più radicali che hanno favorito questa svolta dell’esecutivo c’è prima di tutto il Bloco de Esquerda, formazione nata nel 1999 e che per anni si è battuta per riforme di stampo marcatamente socialista e no-global e che, nel 2015, è riuscito a ottenere oltre il 10% dei consensi. O’Bloco, che al Parlamento europeo ha un solo rappresentante, in virtù del 4,5% ottenuto alle Europee del 2014, sembra ancora in crescita. Nonostante sia stato fondato da tre uomini, oggi le facce del partito sono anche e soprattutto femminili: ci sono la portavoce Catarina Martins, la vice-presidente del gruppo parlamentare Mariana Mortagua e la deputata europea Marisa Matias. È anche grazie a loro se, oltre alle politiche di stampo socialista, all’approccio no-global e alle tendenze eurocritiche, se non euroscettiche, e la visione ambientalista, il partito ha abbracciato le istanze femministe.
Il “populismo di sinistra” di Mélenchon
In Francia, il sogno Macron che aveva infuocato gli animi di chi era in cerca dell’uomo nuovo che risollevasse il Paese dopo i mandati di Nicolas Sarkozy e François Hollande si è infranto appena un anno dopo la sua entrata all’Eliseo. Gli ultimi sondaggi puniscono il presidente francese con un misero 21,5%, appena mezzo punto sopra l’avversaria che aveva battuto alle ultime presidenziali, Marine Le Pen. Ma se il 21% dei francesi guarda a un’alternativa di estrema destra, nazionalista e xenofoba come il Front National, c’è chi il suo voto di protesta andrà a cercarlo all’altra estremità del panorama politico nazionale, ne La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon.
Terzo partito francese alle presidenziali del 2017, con quasi il 20% delle preferenze, La France Insoumise, oggi data intorno al 12,5%, si candida come l’alternativa eurocritica alle cosiddette formazioni nazional-populiste. Sostenitore della necessità di riforme di stampo socialista ed ecologista, Mélenchon è contrario alle privatizzazioni, favorevole a politiche di maggiore apertura nei confronti dei migranti, guadagnandosi anche per questo gli epiteti di “populista di sinistra” e “filo-chavista”.
Il 67enne di origine marocchina è però anche un convinto critico delle politiche di austerity imposte dall’Unione europea e vorrebbe rinegoziare i termini di permanenza nell’Ue anche per la sua Francia. Una convinzione sulla quale non accetta compromessi, tanto da portarlo a lasciare il Partito della Sinistra europea a causa, sostiene lui, di incompatibilità tra “gli oppositori e gli artigiani dell’austerità”, in riferimento a Syriza di Alexis Tsipras “diventata la rappresentante della linea di austerità in Grecia al punto di attaccare il diritto di sciopero, abbassare drasticamente le pensioni, privatizzare interi settori dell’economia. Tutte le misure contro le quali i nostri partiti combattono in ciascuno dei nostri Paesi”.
La Germania è sempre più verde
Tra i partiti anti-austerity che hanno ottenuto i maggiori successi negli ultimi mesi in tutto il panorama europeo ci sono sicuramente i Grünen, i Verdi tedeschi galvanizzati dagli ultimi risultati ottenuti alle elezioni nei Land di Baviera e Assia. Nel Paese che più di tutti ha sostenuto le politiche di austerity dell’Europa, ma dove i Cristiano Democratici di Angela Merkel sono in costante calo e i Socialisti della Spd sembrano ormai sul viale del tramonto, il partito ecologista si sta imponendo come prima alternativa, in opposizione alla formazione ultranazionalista e xenofoba di estrema destra, Alternative für Deutschland.
Politiche sociali e di solidarietà anche in campo economico, pensioni, lotta al carovita, attenzione alla pressione fiscale e, ovviamente, temi ambientalisti. È così che i Verdi e i loro leader, Annalena Baerbock e Robert Habeck, si sono imposti nel panorama politico tedesco come nuova anima della sinistra e, con i sondaggi che li danno oltre il 20%, come secondo partito a livello nazionale dopo la Cdu, scesa sotto il 30%.
A questi capisaldi deve poi essere aggiunto il convinto europeismo condito, però, da pesanti critiche nei confronti delle politiche di austerity e dalla volontà di riformare l’Unione europea. “Il punto non è se la politica di austerità sia giusta o sbagliata (penso che sia sbagliata), ma se ciò sia ancora importante”, si legge sul sito internet di Habeck. “Se i giovani in Spagna, Portogallo o Italia si allontanano dall’Europa, per la maggior parte a causa di questa politica, allora dovremmo cambiarla”.
L’incognita viene invece dal Movimento per la democrazia in Europa 2025 (Diem25), movimento paneuropeo fondato e guidato dall’ex ministro delle Finanze greco del governo Tsipras, Yanis Varoufakis, che ha deciso di candidarsi come capolista alle prossime Europee proprio in Germania, nella patria dell’austerity. Le posizioni dell’economista di Atene, che in contrasto con le politiche ritenute troppo accondiscendenti del primo ministro Tsipras lasciò l’incarico di governo, sono note e si ritrovano anche in alcuni punti del programma di Diem25: maggiore trasparenza delle istituzioni europee, un ambizioso progetto ambientalista, il rispetto dell’auto-determinazione nazionale e una maggiore condivisione del potere decisionale con i Parlamenti nazionali e locali. Il movimento, che sul proprio sito dichiara di contare 75mila iscritti da tutto il mondo, ha ottenuto l’appoggio di personaggi noti come il fondatore di Wikileaks, Juliane Assange, il regista Ken Loach, il filosofo e scrittore Slavoj Žižek, l’eurodeputata Barbara Spinelli e il filosofo e linguista Noam Chomsky.
In Grecia ha vinto l’austerity?
Quando nel 2015 Syriza ha vinto le elezioni e Alexis Tsipras è diventato primo ministro, la Grecia è diventata la casa della prima grande coalizione anti-austerity d’Europa. I sostenitori di politiche socialdemocratiche, antiglobaliste e anticapitaliste salivano così al potere sfidando i diktat di Bruxelles e la Troika. Ma presto, quello che per una buona parte della sinistra europea era diventato un sogno, una nuova battaglia, ha dovuto chinare il capo di fronte al volere dell’Ue che, forte dei tre piani di salvataggio pensati per tirare fuori Atene dal baratro economico nel quale era caduta, ha gradualmente ammorbidito, indebolendole, le posizioni del governo e del suo leader.
Nel 2018, Bruxelles ha annunciato che il Paese è finalmente fuori dalla crisi, anche se i lunghi anni di austerity hanno lasciato il Paese allo stremo delle forze. È adesso che le politiche promesse da Tsipras e dai suoi ministri potrebbero avere più spazio per essere realizzate. Ma in mezzo ci sono tre anni di forte austerity, con membri della coalizione che hanno abbandonato la nave in disaccordo con le decisioni del premier, uno su tutti Varoufakis, e un sostegno crollato, secondo gli ultimi sondaggi, sotto il 20%, a dieci punti dal partito di centro-destra Neo Demokratia. Solo questi mesi che separano il Paese dalle elezioni europee di maggio e, poi, dalle elezioni parlamentari di ottobre diranno se la Grecia ha ancora un grande partito anti-austerity.
La Solidarietà irlandese
Una realtà più piccola ma nata proprio per contrastare le politiche di austerità è quella di Solidarity che alle ultime elezioni irlandesi ha formato l’alleanza Solidarity-People Before Profit (S–PBP) conquistando sei seggi in Parlamento con il 3,9% dei consensi. Prima di assumere questo nuovo nome, nel 2017, il partito nato nel 2014 era conosciuto come Alleanza Anti-Austerity (AAA) e ha lo scopo dichiarato, anche nel nome, di combattere l’austerità e le ineguaglianze attraverso politiche di stampo socialista e anti-capitalista che mettano al primo posto il benessere dei lavoratori.