Un’associazione segreta, collegata alla ‘ndrangheta, agevolata dall’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, oggi sindaco di Imperia. Il processo “Breakfast” doveva essere alle battute finali e oggi era prevista la deposizione di Marcello Dell’Utri. Dopo una serie infinita di rinvii per motivi di salute e per problemi tecnici relativi alle videoconferenze, l’ex senatore e fondatore di Forza Italia ha inviato una lettera al Tribunale di Reggio Calabria comunicando che intende avvalersi della facoltà di non rispondere.

Il perché lo si è compreso cinque minuti dopo quando, in aula bunker, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo ha chiesto la modifica del capo di imputazione nei confronti di Scajola e di Chiara Rizzo, la moglie dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena ancora latitante a Dubai. Entrambi, imputati, per aver favorito la latitanza di Amadeo Matacena, adesso sono accusati di procurata inosservanza della pena finalizzata non solo ad agevolare la ‘ndrangheta, di cui Matacena è risultato essere, per l’accusa, un concorrente esterno di altissimo rilievo, ma anche “al fine di agevolare l’attività di un’associazione per delinquere segreta collegata all’associazione di tipo mafioso da rapporto di interrelazione biunivoca, destinata ad estendere le potenzialità operative del sodalizio di tipo mafioso in campo nazionale ed internazionale”.

In altre parole, come già era emerso con l’informativa sullo “Stato parallelo” depositata nei mesi scorsi agli atti del processo, la Dda di Reggio Calabria sta indagando su una struttura segreta di cui hanno beneficiato tanto Matacena quanto Marcello Dell’Utri. Se quest’ultimo non fosse indagato, infatti, non avrebbe potuto avvalersi della facoltà di non rispondere ma sarebbe stato costretto a sostenere l’interrogatorio.

Il nome di Dell’Utri compare nel capo di imputazione. Infatti, l’associazione segreta avrebbe fornito “un costante e qualificato contributo a favore del complessivo sistema criminale, politico ed economico, collegato alla predetta organizzazione di tipo mafioso, che risultava interessato a mantenere inalterata la piena operatività di soggetti chiave (quali il Matacena ed il Dell’Utri) e riservata la vera natura delle relazioni politiche, istituzionali ed imprenditoriali dai predetti garantite a livello regionale, nazionale ed internazionale”.

In particolare, secondo il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo che ha coordinato l’inchiesta condotta dalla Dia, Claudio Scajola e Chiara Rizzo avrebbero consentito o, comunque, agevolato “condotte delittuose diversificate, nell’ambito delle quali va inserita l’attività di interferenza svolta da Speziali Vincenzo su funzioni sovrane, quali la potestà di concedere l’estradizione, in capo alle rappresentanze politiche della Repubblica del Libano”. Il tutto per “proteggere la perdurante latitanza di Matacena, già condannato in via definitiva quale decisivo concorrente esterno della ‘ndrangheta reggina, per il rilevantissimo ruolo politico ed imprenditoriale svolto a favore della predetta”.

Ma non solo. Stando alla ricostruzione della Dda, la struttura segreta avrebbe gestito anche “un’operazione più vasta avente ad oggetto anche la programmata, ed in parte eseguita, latitanza all’estero di Dell’Utri Marcello”. Il processo, quindi, rischia di riaprirsi e riservare ancora delle sorprese. Al termine dell’udienza, l’ex ministro Scajola reagisce stizzito alla modifica del capo di imputazione: “Questo – dice – doveva essere un processo immediato e invece è iniziato quasi cinque anni fa”. E facendo riferimento al procuratore Lombardo, il sindaco di Imperia cerca addirittura di provocarlo a distanza: “C’è una pervicacia che mi fa pensare: ‘Ma ci crede in quello che dice?’”.

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