Genova, 15 richiedenti asilo sul palco del Carlo Felice per l’Aida. “Iniziativa di inclusione impossibile con il Dl Sicurezza”
A inaugurare la stagione lirica del Teatro Carlo Felice di Genova, domenica sera, anche 15 richiedenti asilo che hanno lavorato come comparse per l’Aida di Giuseppe Verdi. Con la regia di Alfonso Antoniozzi, lo spettacolo è stato proposto in un nuovo allestimento in cui la tradizione culturale della lirica italiana ha incontrato l’animazione e il cinema registrando il tutto esaurito e applausi a scena aperta del pubblico in sala.
“Per l’Aida cercavamo figuranti che ricoprissero il ruolo dei guerrieri etiopi, e non avendo nelle nostre liste persone con le caratteristiche fisiche ricercate abbiamo pensato di aprire un casting e proporlo ai centri di accoglienza presenti in città – spiega ai microfoni de ilfattoquotidiano.it il sovrintendente del Teatro Maurizio Roi: “La risposta è stata straordinaria, su cento ragazzi che si sono presentati ne abbiamo selezionati quindici e con loro abbiamo portato avanti questo percorso di arricchimento umano e professionale”.
“Tra gli effetti dell’entrata in vigore del decreto sicurezza – sottolinea a margine della prima il responsabile della cooperativa sociale il Ce.Sto Marco Montoli – ci sarà anche quello che iniziative di collaborazione e inclusione come questa non saranno più possibili. Gli ospiti dei centri di accoglienza in attesa dello status di rifugiato, infatti, non potranno effettuare attività lavorative o tirocini, e rischiano di restare per mesi confinati in grandi strutture lontano da percorsi di interazione con la società nella quale vivono”. Una distanza tale, quella tra scelte politiche e percorsi culturali, che nelle settimane scorse aveva creato un certo imbarazzo tra gli addetti ai lavori, l’affermazione del consigliere regionale della Lega Franco Senarega che aveva ritenuto opportuno dichiarare che quei ruoli (da guerrieri africani) avrebbero potuto benissimo ricoprirlo “15 italiani con del cerone nero sulla pelle”. Un richiamo inconsapevole alla pratica del blackface realmente in uso nel make-up teatrale del ‘900, superata da oltre cinquant’anni perché ritenuta offensiva e inopportuna.