Mi ero proposto di non parlare di legge di bilancio, incubo d’autunno per gli italiani assieme a frane e alluvioni. Una dimensione che sostituisce all’armonia dell’uomo vitruviano l’archetipo dell’uomo finanziario, colui che – parafrasando Mark Twain – ti presta il suo ombrello quando splende il sole, ma lo vuole indietro non appena inizia a piovere. E tutto si risolve in un girone infernale di norme scritte in modo incomprensibile, piene di grida senza speranza. Che fine hanno fatto le misure per le attempate dighe italiane, più volte nella ex Finanziaria, senza alcuna conseguenza pratica? Ovvio: “Sono state calendarizzate sempre e solo allorché iniziasse a piovere” concluderebbe sadicamente lo stesso Twain.

Cito qui la legge di bilancio in discussione per sostenere una proposta dell’Associazione Idrotecnica Italiana: estendere le detrazioni fiscali attualmente previste per gli interventi di riduzione del rischio sismico – il cosiddetto sismabonus – agli interventi di riduzione del rischio idraulico: idrobonus. La misura, già proposta senza successo quale emendamento della legge di bilancio dell’anno scorso, può accelerare lo sforzo plurisecolare di mitigazione del rischio, sensibilizzare e responsabilizzare i cittadini, avviare gli investimenti, riscoprire metodi olistici e innescare ricerche innovative a scala locale. E si risolverebbe in una riduzione dell’impegno finanziario diretto da parte di Stato ed enti locali.

Il rischio è la composizione di tre fattori: pericolosità, esposizione, vulnerabilità. Un sistema razionale tende a equilibrare il peso dei tre fattori, come accade in Giappone nei confronti del rischio sismico. L’idrobonus va in questa direzione. Invece, dall’Unità in poi, l’Italia ha sempre e comunque mirato a ridurre la pericolosità, nell’illusione di “mettere in sicurezza” il territorio, un mantra adorato dai politici di ogni tendenza. Un obiettivo non sempre centrato sulla difesa di centri storici, ma spesso subordinato a nuove occasioni di occupazione delle zone riparie, a velleità di protagonismo politico, a contrastare la disoccupazione di nani, ballerine e burosauri reduci dal cabaret politico.

Un quarto di secolo fa, la Regione Lombardia mi convocò per un incarico. Era la prima volta, anche se lavoravo a Milano da 1985. Dopo la buriana dei primi anni 90, l’ente voleva forse estendere i confini del suo parco di consulenti. M’interpellarono per un’opera, quasi ciclopica, di difesa di un compluvio montano dal pericolo di colate detritiche e caduta di massi. Il budget, già stanziato, era dell’ordine di 2 o 3 milioni di euro. Poiché l’unico bene esposto era una modesta colonica, proposi in alternativa di ricostruirla a poca distanza, in posizione sicura sul displuvio, con una spesa non superiore a 200/300mila euro. Fui squadrato con sufficienza e, da allora, mai più consultato, con reciproca soddisfazione: “Meglio soli che sgraditi“, come scrisse ancora Mark Twain.

Gli enti che dovrebbero finalizzare sul territorio l’impegno dello Stato a fronte del dissesto idrogeologico sono pronti a trasformare il dire in fare? “La differenza tra un miracolo e un fatto è la stessa che corre tra una sirena e una foca” (M. Twain). I servizi tecnici pubblici sono stati annientati dalla massiccia immissione di burocrati, i progetti sbandierati come cantierabili sono spesso frutto di visioni superate quando non scaturiscono da vecchi incarichi d’occasione, l’estasi per la riduzione della pericolosità è affatto velleitaria e, a lungo termine, inconcludente. Infine, cancellare la struttura di missione #italiasicura senza predisporre altri organi d’indirizzo se non la burocrazia romana e regionale è un viatico poco incoraggiante per nuovi investimenti di successo. Ho criticato in molti post questa missione, battezzandola talora come impossibile, ma non posso dimenticare gli obiettivi di trasparenza che #italiasicura ha conseguito, pubblicando un quadro completo e aggiornato dei cantieri in atto.

Mi permetto infine di estendere qui la supplica idraulica. Bisogna includere nel bonus fiscale anche la difesa dalle frane e dalle tempeste di vento, tombe d’aria e dry downburst. Tra le catastrofi naturali, sono proprio le alluvioni, le frane e i windstorm – con peso relativo confrontabile – quelle che producono il danno maggiore, come testimoniano in modo inequivocabile i dati globali delle maggiori compagnie di assicurazione. E, senza un capillare e diffuso coinvolgimento dei privati cittadini, non sono concepibili politiche efficaci per mitigare l’impatto di questi fenomeni.

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