“Ho venduto il Palermo per 10 euro”. In un campionato normale di un Paese civile, un annuncio del genere avrebbe fatto sobbalzare le autorità. Invece siamo in Italia e tutto è possibile, anche che una delle più importanti squadre della Serie B sia ceduta per una manciata di spiccioli a dei perfetti sconosciuti, con una storia societaria inconsistente e un capitale sociale di appena 200 sterline. Senza veri controlli, senza garanzie certe sul futuro del club (e quindi del torneo), perché la FederCalcio non ne prevede. I precedenti non mancano, dal fallimento del Parma alla farsa della cessione del Milan, adesso se ne aggiunge un altro: da lunedì sera in Sicilia è finita ufficialmente l’era Zamparini, il Palermo è nelle mani della Global Futures Sports & Entertainment, società inglese facente capo a Clive Richardson. Chi? Non sono in pochi a chiederselo.
CHI (NON) È CLIVE RICHARDSON – Il nuovo presidente si è presentato in Sicilia nello stupore generale insieme a David Platt, vecchia gloria del calcio inglese, testimonial perfetto come trait d’union fra i due mondi. Ma nemmeno la sua presenza è riuscita a rispondere ai tanti dubbi sull’operazione: “Negli ultimi sei mesi cercavamo opportunità di investimento in tutto il mondo, siamo stati noi a cercare il Palermo, per noi è una grande opportunità”, si è limitato a dire Richardson. Di lui si sa poco o nulla: inglese, 49 anni, dirige la Global Futures Sports & Entertainment, ma anche altre nove società, che operano in settori diversissimi tra loro ma condividono tutte le stesse 2-3 sedi legali nel cuore di Londra o della più sperduta campagna inglese.
IL PALERMO A UNA SOCIETÀ CON 200 STERLINE DI CAPITALE – È il caso ad esempio della Global Futures, di cui detiene anche il 75% delle azioni: l’azienda afferma di servire 140 atleti per un giro d’affari complessivo di 500 milioni di sterline ma non ha nemmeno un sito web ufficiale. I pochi documenti presenti sul web aiutano a delineare la storia della società ma non a sciogliere i dubbi sul suo sbarco nel calcio italiano: la compagnia è nata soltanto a marzo 2018, e dunque non ha ancora pubblicato neanche un bilancio; in compenso, di recente ha effettuato un aumento di capitale, passando da 100 a 200 sterline. Un po’ pochino per la proprietà di un club di calcio. “L’organigramma ancora non c’è: alcuni investitori sono quotati in borsa e hanno chiesto riservatezza”, ha spiegato Maurizio Belli, advisor dell’operazione.
“MAI PIÙ CASI PARMA”: LA PROMESSA NON MANTENUTA DELLA FIGC – Insomma, pare che non sarà Richardson il vero proprietario, e che nessuno tra Figc e Lega Serie B sappia per davvero nelle mani di chi è finito il Palermo. Sembra impossibile ma è proprio così, anche perché a tutt’oggi non esistono in Italia dei veri controlli su chi acquista una squadra di calcio. Ricordate la storiaccia del Parma, con le cessioni da Ghirardi a Taci a Manenti fino al fallimento? Dopo quella farsa, la Figc aveva promesso: “Mai più un caso Parma”. C’era ancora Carlo Tavecchio, e la Federazione pubblicò un nuovo regolamento sulle “acquisizioni di partecipazione societarie a livello professionistico” che prometteva di risolvere il problema. In realtà non è cambiato quasi nulla.
NIENTE CONTROLLI: BASTA UN FIDO BANCARIO (CHE NON È ANCORA ARRIVATO) – Non è stato infatti introdotto il “fit and proper test” che esiste all’estero (in Premier League, ad esempio) e che impedisce a faccendieri e speculatori di entrare nel mondo del pallone. La Figc non vuole e forse non ha nemmeno gli strumenti per fare delle indagini approfondite e andare oltre gli schermi societari dei vari prestanome: sta di fatto che non è mai stato introdotto un organo terzo di controllo, accontentandosi di quel poco che è possibile accertare da soli. Le norme federali prevedono infatti solo dei generici requisiti di “onorabilità” e di “solidità finanziaria”. I primi sono piuttosto blandi e guardano solo alla fedina penale dell’acquirente (o del suo eventuale prestanome): basta non aver riportato una condanna penale passata in giudicato superiore ai 5 anni, o non essere incappati in condanne per i reati di scommesse clandestine, doping, truffa o appropriazione indebita, oltre ad essersi sottoposti alle verifiche antimafia, per poter comprare una squadra.
Sui soldi e le garanzie patrimoniale che dovrebbero esserci dietro ogni proprietà, per evitare fallimenti a stagione in corso (o illeciti ancora peggiori) , ci si accontenta invece del sentito dire: la verifica della cosiddetta “solidità finanziaria” è demandata per intero ad un unico documento, una dichiarazione da parte di un istituto di credito nazionale o internazionale. Insomma, la Figc si rimette alla parola di una banca, supponendo che se loro danno fiducia all’acquirente allora possiamo farlo anche noi. Ma i precedenti – da ultimo quello del Milan – dimostrano che il “fido” non basta: anche il famoso mister Li aveva presentato i documenti richiesti, poi tutti sanno com’è andata a finire. Per altro – a quanto risulta a ilfattoquotidiano.it – ad ora la dichiarazione dell’istituto di credito non è ancora stata presentata da Richardson alla Lega cadetta: ci sono 30 giorni di tempo dal momento della firma per farlo, in ogni caso cambierà poco. Il Palermo e la Serie B sono nelle mani degli inglesi. Chiunque essi siano.