La difesa a casa propria è sempre legittima? “A certe condizioni“. Il suggerimento provocatorio di Vincenzo Boccia? “Sono io che conduco il negoziato, ma credi di avere le idee chiare”. Il declassamento di Fitch? “Non conosce la proposta all’Europa, si ricrederà”. L’ipotesi delle dimissioni di Tria? “Non c’è nessun motivo”. La vendita dei beni del Tesoro per evitare la procedura d’infrazione? “I gioielli di famiglia ce li teniamo stretti”. Il premier Giuseppe Conte non ha i toni di Lega e M5s, ma sembra rivendicare una sua autonomia anche rispetto alle posizioni dei suoi vicepremier. In un’intervista al Fatto d’altra parte aveva sostenuto apertamente di sostenere il Global Compact sull’immigrazione e di auspicare in Parlamento un dibattito “informato” e la libertà di coscienza per i parlamentari. E ora tocca a un altro tema caro alla Lega: la legittima difesa.
Che per Salvini è sempre e comunque legittima, mentre per il presidente del Consiglio deve avere dei paletti. Lo ha sottolineando in un’intervista all’AdnKronos, spiegando che la nuova legge “tutelerà tutti perché comunque si tiene sempre conto, anche nella formulazione che sta venendo fuori dal percorso parlamentare, dell’esigenza di contemperare tutte le esigenze in gioco: le esigenze di difesa e le esigenza di tutela della vita umana“. Per il capo del governo, quindi, difendersi nella propria abitazione è legittimo “a certe condizioni”, ovvero “quelle che sono precisate e verranno precisate nelle norme che modificheranno la vecchia disciplina“.
Non uno strappo con la Lega, che detiene la patria potestà della norma, ma una precisazione sostanziale orientata al rispetto dei due sentimenti contrapposti, “le esigenze di difesa” e la “tutela della vita umana”. Niente di incendiario, per carità, ma concetti e toni precisi, come quelli utilizzati per rispondere al presidente di Confindustria. Il 3 dicembre, durante l’incontro delle categorie produttive a sostegno della Tav, Vincenzo Boccia aveva detto: “Se fossi in Conte convocherei i due vicepremier e chiederei di togliere due miliardi per uno visto che per evitare la procedura d’infrazione bastano 4 miliardi. Se qualcuno rifiutasse mi dimetterei e denuncerei all’opinione pubblica chi non vuole arretrare”. Una provocazione, a cui il premier ha risposto con garbo e fermezza: “Con tutto il rispetto, sono io che conduco il negoziato. Lo ringrazio per i suggerimenti, ma credo di avere le idee chiare”.
Il presidente del Consiglio, poi, si è soffermato su questioni di strettissima attualità, come il taglio delle stime di crescita dell’Italia da parte dell’agenzia di rating Fitch. Poche parole: “Non ha ancora visto la nostra proposta all’Europa, l’agenzia si ricrederà”. Stesso modus operandi per quanto riguarda l’indiscrezione sull’ipotesi delle prossime dimissioni del ministro dell’Economia Giovanni Tria. Un’eventualità rispedita al mittente: “Un passo indietro del titolare del Tesoro? Assolutamente no, non credo assolutamente che voglia dimettersi, non ce n’è motivo”. Alla domanda se il fatto di non aver menzionato il responsabile di via XX Settembre nella nota di fiducia siglata da Di Maio e Salvini domenica scorsa sia stato letto come uno ‘sgarbo istituzionale‘, Conte ha risposto che “d’accordo anche con Tria, il negoziato lo conduco io. Questo non significa che chi prepara e lavora ai conti, il ministro dell’Economia, sia stato esautorato – ha continuato – Tria non è stato né deve sentirsi esautorato. Io sono il presidente del Consiglio, ho la responsabilità di esprimere l’indirizzo politico ed economico del governo. Quindi è ovvio che con Juncker l’interlocutore sono io”. Infine un passaggio riguardo all’ipotesi di cessione di asset fondamentali in mano al Tesoro per evitare la procedura d’infrazione della Ue. “I gioielli di famiglia noi ce li teniamo stretti” ha detto Conte, cercando di chiudere una questione che ha creato molteplici polemiche.