Le mafie emigrano. Giustissimo tenere d’occhio le (relativamente) nuove organizzazioni criminali straniere che si sono insediate in Italia. Anzi, magari meriterebbero più attenzione di quella che viene riservata a singoli episodi di cronaca nera, che più facilmente solleticano la pancia dell’elettorato. Detto questo, non dobbiamo dimenticarci che l’Italia è, ancora oggi, un Paese esportatore di mafie, peraltro l’unica fra i 28 dell’Unione europea che ha “prodotto” mafie autonome nel proprio territorio (‘ndrangheta, Cosa nostra, camorra, Sacra corona unita).
A rinfrescarci la memoria arriva l’operazione Pollino scattata oggi, con una novantina di arresti fra Calabria, Nord Europa e Sudamerica, particolarmente importante perché condotta attraverso un coordinamento stretto e continuo (Joint Investigative Team) fra polizie e magistrature dei diversi Paesi interessati. Un metodo necessario perché gli Stati dell’Unione europea non hanno una normativa comune contro la mafia (il reato di associazione mafiosa esiste soltanto da noi) e neppure contro la criminalità organizzata in genere. Lavorare insieme su singole indagini è più semplice che armonizzare 28 codici penali, obiettivo più volte invocato anche dal Parlamento europeo, ma che suscita resistenze nazionali fortissime.
Questa indagine offre importanti conferme alle nostre conoscenze sull’emigrazione dei clan nostrani, che ilfattoquotidiano.it ha raccontato nello speciale “Mafie unite d’Europa”, consultabile online con tanto di mappa interattiva Paese per Paese. Per prima cosa, oggi traffico di cocaina e riciclaggio (i due reati più importanti contestati in “Pollino”) sono fra i motivi principali che spingono i clan, e in particolare la ‘ndrangheta che del traffico di coca è protagonista globale, a insediarsi all’estero. In Paesi “più appetibili” dell’Italia – ha precisato il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo – che con tutti i suoi limiti ha leggi antimafia e misure patrimoniali davvero temibili.
La prima grande direttrice espansione è rappresentata da Germania-Paesi Bassi-Belgio, esattamente i territori coinvolti nel blitz di oggi. In Germania la presenza dei clan, storicamente legata anche alla nostra emigrazione, è registrata fin dagli anni Settanta, e la strage di Duisburg del Ferragosto 2007 ha fatto soltanto da detonatore mediatico. Il bersaglio del massacro era il clan Pelle-Vottari di San Luca, accusato oggi di essere il perno del traffico individuato dall’indagine. Due dei responsabili della strage, appartenenti al clan rivale dei Nirta-Strangio, furono arrestati nei Paesi Bassi. Il porto di Rotterdam, insieme a quello di Anversa in Belgio, è fin dagli anni Novanta monitorato dagli investigatori come porta d’ingresso della coca per il Nord Europa (a Sud c’è Gioia Tauro). Anche in Belgio sono stati individuati – fra gli altri – esponenti di entrambi i clan di San Luca, tutti lì a gestire il narcotraffico con il Sudamerica.
Dall’indagine arriva anche la conferma del massimo stereotipo dell’italiano all’estero, mafioso o meno che sia. Dove venivano investiti i profitti? Naturalmente nell’apertura di ristoranti – gli investigatori citano La Piazza 3 e la gelateria Cafè La Piazza di Brüggen, in Germania – che poi diventavano le basi logistiche del traffico. Proprio come nella vecchia “Pizza Connection” tra Cosa nostra siciliana e statunitense dei primi anni Novanta.