Cinema

Non ci resta che vincere, così la disabilità fisico-mentale viene raccontata senza freni e carinerie ma con rispetto

Le premesse sono ovviamente melense e trite, ma l'opera è spassosa. In originale il titolo fa Campeones e tenerlo così male non faceva La Spagna, dove è campione di incassi, lo ha candidato all’ambita cinquina dell’Oscar per il film in lingua straniera

Un allenatore strafottente e arrogante, un gruppo di disabili che gioca un basket tutto da decifrare, una lezioncina etica che brilla come una favola. Inchinatevi a Non ci resta che vincere, film diretto da Javier Fesser campione d’incassi del cinema spagnolo (quasi 19 milioni di euro, oltre tre milioni di spettatori) dove la disabilità fisico-mentale è raccontata senza freni e carinerie riuscendo a divertire con rispetto.

Marco (Javier Gutierrez) è il coach in seconda dell’Estudiantes, team madrileno della Liga ACB spagnola. L’ennesimo scontro a suon di pugni, a bordo campo, con l’allenatore capo lo fa uscire di scena tra incredulità di tifosi e giocatori. Non pago della lite, e con una vita sentimentale a pezzi, Marco alticcio e imbestialito tampona perfino un’automobile della polizia. Finirà licenziato dal suo lavoro e condannato a nove mesi di servizi sociali durante i quali dovrà allenare la squadra dei disabili “Los Amigos”. Prima cercherà in ogni modo di sottrarsi dall’obbligo, ma poi darà senso alla sua esperienza e competenza professionale aiutando gli altri, in uno slancio di generosità che non pareva nelle sue corde. Le premesse sono ovviamente melense e trite, ma Javier Fesser e David Marques allo script impongono un ritmo rapidissimo alla singole sequenze di allenamento e conoscenza dei membri della squadra, di gioco e confronto con la società circostante, facendo correre a mille anche l’aspetto comico e sociologico che permea l’intera opera.

A tratti dissacrante, in altri momenti gioiosamente folle, l’impatto di Marco con i ragazzi disabili possiede il giusto equilibrio per una commedia che sa presentere senza filtri la presunta “anormalità”. Lo sguardo di Fesser è sincero e naturale proprio come sinceri e naturali sono gli attori del film: non professionisti disabili che recitano la loro quotidianità fatta di mancanza di pregiudizi e limiti nel dire le cose come stanno. Tutta l’infilata iniziale degli allenamenti all’interno della palestra sgangherata è forse la parte più spassosa e riuscita del film. Osservate infine con che fare mimetico Gutierrez (visto già, almeno in Italia nell’ottimo La Isla Minima) rifà tic e idiosincrasie del classico tignoso e precisino allenatore di basket. Il complicato castello teorico tattico di pick and roll, dai e vai e compagnia, è racchiuso in uno stiloso atteggiamento da primo della classe a cui, improvvisamente, tocca l’obbligo di una forzata semplificazione del modo di vivere che è anche un bagno di straordinaria umiltà. Fesser nel 2008 aveva girato Camino, film “scandaloso” sul caso di Alexia Gonzalez-Barros, una bimba morta a 14 anni di cancro, cresciuta in una famiglia vicina all’Opus Dei e in odore di santità, che il regista rese nel film meno ascetica e più umana provocando le ire cattoliche spagnole. In originale il titolo fa Campeones e tenerlo così male non faceva. Non ci resta che vincere è il film candidato per la Spagna all’ambita cinquina dell’Oscar per il film in lingua straniera.