Doveva rilanciare il golf italiano. Per ora lo sta facendo fallire: la Ryder Cup è un salasso per la Federazione, e pure per i suoi appassionati che in futuro dovranno pagare di più per accollarsi i suoi costi. In due anni sono stati “bruciati” 6 milioni di euro, il bilancio della FederGolf (Fig) nel 2017 ha chiuso in rosso (-1,4 milioni) per la seconda volta di fila, il governo ha cominciato ad aprire i rubinetti dei contributi pubblici ma neppure questi sono stati in grado di tappare il buco. Tutto per colpa della Ryder e di un progetto megalomane che rischia di rivelarsi insostenibile per il piccolo movimento italiano.
Dai 60 milioni nascosti in manovra da Renzi alla garanzia statale infilata ovunque: la genesi di un progetto megalomane
Esattamente due anni fa di questi tempi, il governo allora presieduto da Matteo Renzi infilava nella manovra un maxi-finanziamento da 60 milioni di euro (spalmato su 10 anni) per portare in Italia la Ryder Cup del 2022, il più prestigioso torneo di golf al mondo. L’operazione, opaca e pasticciata, all’epoca sollevò un mare di polemiche, non solo per la cifra (assolutamente spropositata per una disciplina tutto sommato di nicchia nel nostro Paese), ma anche per il modus operandi del ministro Luca Lotti, che cercò di nascondere i fondi in una tabella della legge di bilancio e poi di approvare a colpi di emendamenti un’altra garanzia da 97 milioni di euro.
Quei soldi servivano a finanziare uno dei più grandi eventi sportivi del pianeta. Da subito, però, ci si poteva accorgere che qualcosa non tornava: per averlo l’Italia aveva fatto carte false, promesso mari e monti alla società che detiene i diritti del torneo e che ha preteso la luna in cambio di portarla nel nostro Belpaese, così privo di tradizione golfistica. Un esempio su tutti: alzare il montepremi dell’Open d’Italia da 1,5 ad addirittura 7 milioni di dollari (6,15 al cambio con l’euro). Uno sforzo semplicemente insostenibile per una piccola Federazione che fatturava appena 10 milioni di euro (di cui per altro il 40% già di contributi statali dal Coni), di cui adesso si vedono gli effetti.
Introiti aumentati, ma costi esplosi: la Federazione golf non regge la Ryder Cup
Nel 2016 la Fig aveva chiuso il bilancio con un passivo record di quasi 4 milioni e mezzo di euro. Un buco clamoroso ma tutto sommato prevedibile: lo scorso era l’esercizio più difficile, alle prese con i primi costi della Ryder (nel 2016 il montepremi era stato già portato a 3 milioni) ma ancora senza il sostegno di governo e sponsor, contabilizzabili solo a partire da quest’anno. La sorpresa, però, è stato scoprire che anche il bilancio 2017 (approvato prima dell’estate e recentemente pubblicato) si è chiuso di nuovo in rosso: -1,4 milioni di euro. E ciò nonostante la Fig abbia già incassato la prima tranche dei 60 milioni di contributi statali, 5,4 l’anno, fino al 2028).
Non si può dire che il fatturato non sia cresciuto: ora sfiora i 20 milioni di euro annui, quasi il doppio dell’era pre-Ryder. La metà di questi sono soldi pubblici, tra contributi Coni ordinari, fondi statali e pure regionali (c’è anche un regalino di 500mila euro dalla Regione Lombardia dell’amico Maroni, che ospita l’Open a Monza). Sono cresciuti pure i ricavi da sponsor, grazie all’arrivo provvidenziale di Infront, advisor che non si tira mai indietro quando c’è da dare una mano sui grandi eventi sportivi: la Fig, che aveva un appeal commerciale praticamente nullo (fino a due anni guadagnava la miseria di 200mila euro dai contratti pubblicitari) ha incassato 2 milioni nel 2017 e ne prenderà ancora di più nei prossimi anni a ridosso del torneo. L’effetto Ryder c’è e si vede, insomma. Il problema è che vale anche e soprattutto al contrario: se le entrate sono aumentate, i costi sono letteralmente esplosi, arrivando addirittura a toccare quota 22 milioni di euro. Per colpa ovviamente della Ryder, come è costretto ad ammettere lo stesso bilancio federale: “Particolare rilevanza assumono i costi collegati all’impegno dell’Italia ad ospitare la Ryder Cup 2022”.
La Fig è tecnicamente fallita, ma il Coni le dà una mano. Tesserati non aumentano? La Federazione aumenta il prezzo della tessera annuale
Oggi la FederGolf è praticamente al collasso. Non è solo un modo di dire: quella che era una Federazione piccola ma tutto sommato benestante ha bruciato tutte le sue riserve. Ormai il patrimonio netto è negativo per 438.627 euro, al di sotto della soglia minima imposta dalla normativa: fosse una società qualsiasi, la Fig sarebbe tecnicamente fallita. In realtà per le federazioni sportive esiste sempre il salvagente del Comitato olimpico, pronto a metterci una pezza e chiudere un occhio, figuriamoci per una disciplina “amica” come quella del presidente Franco Chimenti, che di Giovanni Malagò è grande elettore e vicepresidente: infatti la giunta del Coni ha approvato senza battere ciglio il piano di risanamento che concede alla FederGolf di rientrare comodamente dalla perdita entro il 2021.
Il presente è piuttosto cupo, il futuro se non altro dovrebbe essere più sereno: a (parziale) scusante bisogna infatti aggiungere che anche il business plan preparato da Gian Paolo Montali, direttore generale della Ryder Cup, prevedeva un passivo nelle prime due annate (probabilmente non così pesante, però). Per il 2018, infatti, il bilancio preventivo segna già un primo utile di 240mila euro, fondamentale per invertire la tendenza negativa. Certo, restano pesanti incognite sul progetto, ad esempio sull’aumento dei tesserati, da cui la Federazione contava di guadagnare addirittura 30 milioni di euro con una crescita del 7%. Ebbene, negli ultimi 3 anni ci sono appena 146 tesserati Fig in più in tutta Italia, su un totale di circa 90mila, per un aumento dello 0,2%. Il dato, insomma, è assolutamente stazionario. Tanto che la Federazione ha deliberato per il 2018 un aumento del costo della tessera del 33%, da 75 a 100 euro annui: pagheranno loro anche per tutti i nuovi tesserati immaginari che probabilmente non arriveranno mai. La buona notizia è che almeno la garanzia governativa da 97 milioni di euro è stata assicurata e quindi anche se gli obiettivi non dovessero essere raggiunti lo Stato non ci rimetterà altri soldi. Oltre ovviamente ai 60 milioni di contributi già stanziati fino al 2028. Sarà per questo che in Federazione sono comunque così tranquilli.