Alla fine di ogni mese l’amministrazione penitenziaria pubblica i dati delle presenze nelle carceri. Sono usciti quelli del novembre che si è appena concluso e abbiamo appreso che i detenuti sono oggi 60.002. La popolazione penitenziaria ha quindi superato la soglia dei 60mila, con quasi seicento persone in più rispetto ai posti letto regolamentari. Il 13 gennaio del 2010 l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi firmava il decreto di “Dichiarazione dello stato di emergenza conseguente all’eccessivo affollamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale”. Il numero dei detenuti era pari a 64.791 unità. Ci avviciniamo dunque a quelle cifre impazzite, che tre anni dopo ci costeranno una pesantissima condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Un anno fa, al 30 novembre 2017, le carceri italiane ospitavano 58.115 persone. Ora ce ne sono quasi 2mila in più. Il segno di un aumento dei crimini? Niente affatto. Secondo gli ultimi dati forniti dal ministero dell’Interno, tra l’agosto 2017 e l’agosto 2018 tutti i delitti sono diminuiti di quasi dieci punti percentuali (-9,5% per l’esattezza). Una riduzione considerevole. Nessuna emergenza sicurezza dunque. La risposta “se mancano i posti letto allora costruiamo nuove carceri” non è quindi quella giusta. Non lo è da un punto di vista pratico, visto che chiunque ci abbia provato negli scorsigoverni non c’è riuscito (primo tra tutti il leghista Roberto Castelli, che al tempo in cui era ministro della Giustizia mise in piedi allo scopo una società apposita, la Dike Aedifica Spa, salvo poi rivelarsi una società fantasma che la Corte dei conti fu costretta a liquidare per aver sprecato oltre un miliardo di euro dei cittadini). Non lo è da un punto di vista teorico, visto l’andamento in calo della criminalità in Italia e visto che il nostro tasso di incarcerazione è in piena media europea.
Per costruire un nuovo carcere dalle dimensioni piuttosto piccole, diciamo da 200 posti, servono circa 25 milioni di euro. Vale a dire 125 mila euro a posto letto. La carcerazione in generale costa moltissimo. E la paghiamo noi. Un singolo detenuto costa 136 euro al giorno. Le misure alternative alla detenzione, che sono pene a tutti gli effetti, costano enormemente di meno. Vogliamo davvero farci prendere in giro da chi vuole usare i nostri soldi per guadagnare consenso popolare in nome di una percezione di insicurezza, da lui stesso indotta, che non ha nulla a che vedere con quello che ci dicono le statistiche?
È quanto sta continuando a succedere. Il decreto cosiddetto “sicurezza e immigrazione” vuole fin dal titolo proporre una visione fuorviante. I dati ci dicono che nelle comunità immigrate che da più tempo risiedono sul territorio nazionale e che maggiormente hanno avuto opportunità di integrazione i reati calano, fino a diventare percentualmente inferiori a quelli degli italiani. Il patto di inclusione paga. E dunque cosa fa il decreto? Decide di togliere la protezione umanitaria a un gran numero di persone, spingendole verso una vita che non riuscirà più a essere rispettosa delle regole. Il testo si sarebbe dovuto chiamare “decreto insicurezza”. Ma naturalmente ciò è indispensabile al piano politico del ministro dell’Interno. Se gli stranieri smettessero di commettere reati, come farebbe a continuare a guadagnare consensi promettendoci di salvarci da un pericolo che non esiste?
E intanto le nostre carceri sono sempre più affollate. Una seria politica criminale mostrerebbe tutta l’inutilità di questo affollamento. Senza andare troppo lontano, basterebbe agire su due fronti per risolvere il problema in maniera duratura e non posticcia:
1. Convincersi che il carcere non è la sola pena possibile, che le misure alternative alla detenzione sono pene a tutti gli effetti, con un gran carico di afflittività. Costano meno e sono più utili in termini di riduzione della recidiva e contributo alla società.
2. Smetterla di usare il sistema penale dove si dovrebbe intervenire con politiche e sostegni di tipo sociale. Il 35% dei detenuti ha violato la normativa sulle droghe. Molti altri saranno in carcere per reati connessi alla tossicodipendenza. Depenalizzare costa meno che incarcerare. In termini economici ma soprattutto in termini umani e sociali.