Tassati come gioielli, anche se di “prezioso” in concreto hanno solo il prezzo. Gli assorbenti e i prodotti igienici femminili, così come i pannolini in generale, in Italia rientrano ancora nella fascia dei beni considerati di lusso, di cui cioè si potrebbe fare a meno. Hanno un’Iva (imposta sul valore aggiunto) del 22 per cento, al pari di articoli di abbigliamento, sigarette, vino e altri prodotti che non sono considerati di prima necessità. E’ la cosiddetta Tampon tax, che in tutto il mondo ha scatenato un acceso dibattito sostenuto dai movimenti delle femministe che ha portato i governi a prendere provvedimenti per la sua eliminazione o riduzione. Ad eccezione dell’Italia, dove invece la situazione è rimasta immutata e l’aliquota, e di conseguenza la tassa che ricade interamente sul consumatore finale, si mantiene una delle più alte in Europa. E lo sarà ancora per molto. I 5 stelle avevano annunciato un emendamento alla manovra per ridurre l’Iva al 5 per cento sui prodotti “per la protezione dell’igiene femminile, dei neonati, dei disabili e degli anziani”. Ma la richiesta di modifica è stata accantonata: “Le questioni che riguardano la fiscalità”, si è giustificata la sottosegretaria al Mef Laura Castelli, “a volte chiedono un po’ più di tempo. Questo Parlamento e il governo sono d’accordo nel merito ma il problema è l’infrazione sulla riduzione di una aliquota Iva e non credo che si sia in un momento in cui possiamo dire a Bruxelles ‘vogliamo ridurla’ e farci fare un’infrazione. Il governo responsabilmente non se la sente. Proveremo a comunicare a Bruxelles la necessità di ridurre l’aliquota su alcuni prodotti”. Tradotto, per ora non ci saranno cambiamenti.
Dal 1973 a oggi, ecco quanto costa alle donne la Tampon tax
Nel nostro Paese l’aliquota ordinaria sugli assorbenti è stata introdotta nel 1973 ed è cresciuta nel tempo dal 12 per cento fino alla quota odierna del 22 per cento. A differenza di prodotti come il tartufo o i francobolli da collezione, che hanno ottenuto un’imposta agevolata al 10 per cento, i prodotti femminili però, così come i pannolini per i neonati, non hanno ancora subito una riduzione dell’aliquota. Diverso il destino dei rasoi da barba, che sono considerati invece un bene primario con aliquota al 4 per cento, così come latte e occhiali. Eppure anche l’utilizzo di assorbenti per le donne è una necessità di cui non si può fare a meno per svolgere le normali attività quotidiane durante i giorni del ciclo mestruale. Una necessità che si ripropone ogni mese durante tutto il periodo fertile, che in media dura quarant’anni. Senza contare che richiede un esborso non indifferente, che si calcola si aggiri in un anno per ogni donna mediamente intorno ai 100-150 euro.
“In Italia gli assorbenti sono considerati beni di lusso e i tartufi beni primari, è qualcosa di paradossale. – commenta a ilfattoquotidiano.it Carla Ruffini del movimento femminista Non una di meno Reggio Emilia. – Inoltre le donne, già penalizzate in modo pesante dal punto di vista economico (nel lavoro ma non solo) devono sostenere dei costi esorbitanti per un prodotto igienico indispensabile”. Il tema è stato dibattutto all’interno del movimento perché secondo le attiviste rappresenta una delle tante facce della discriminazione verso le donne. “Anche dal punto di vista simbolico e culturale, il fatto che i rasoi da barba abbiano un’aliquota Iva inferiore a quella degli assorbenti – continua Ruffini – è un segnale più che evidente di una discriminazione insopportabile. E’ come dire che radere i peli della barba ha un riconoscimento sociale ed economico, tamponare le perdite di sangue nel periodo mestruale no.”
Italia in controtendenza nella riduzione della Tampon tax
Da anni il mondo si sta muovendo verso la riduzione della Tampon Tax con incentivi e sgravi sui prezzi degli assorbenti e dei prodotti per l’igiene femminile. In molti Paesi infatti le donne nei giorni delle mestruazioni, non potendo permettersi di acquistare gli assorbenti, sono impossibilitate a uscire o costrette a tamponarsi con stracci. Succedeva fino a pochi anni fa in Kenya, dove le ragazze non andavano a scuola durante il ciclo, ma anche in Europa e nel Regno Unito, dove il problema è indicato come “period poverty”.
Il primo Paese ad agire per calmierare il prezzo finale degli assorbenti è stato proprio il Kenya, che dal 2004 ha cominciato a diminuirne la tassazione e dal 2011 ha messo in piedi un progetto per la distribuzione gratuita nelle scuole. Nel 2015 il Canada ha addirittura cancellato l’imposta sugli assorbenti dopo una petizione presentata al governo e stessa cosa ha fatto l’anno dopo lo stato di New York. Più recentemente altri stati come Maryland, Massachusetts, Minnesota, New Jersey e Pennsylvania hanno seguito lo stesso esempio, mentre nel resto degli Stati Uniti la tassazione varia dal 4 al 9 per cento a seconda dei Paesi. Anche in India l’aliquota è passata a luglio 2018 dal 12 per cento alla completa cancellazione, e la stessa strada è stata scelta dall’Australia, dove dopo anni di proteste, da ottobre 2018 è stata azzerata l’imposta del 10 per cento. Tassazione zero è anche applicata in Nigeria, Libano, Giamaica, Nicaragua.
Anche l’Europa sta facendo passi avanti per l’abolizione o riduzione della Tampon tax per andare incontro alle esigenze delle donne e contrastare la period poverty. Di recente la Spagna ha annunciato che dal prossimo anno l’Iva sui prodotti femminili sarà abbassata al 4 per cento (oggi sono tassati al 10 per cento) dopo che la regione autonoma delle Canarie aveva già introdotto a fine 2017 l’abolizione delle tasse sui prodotti di igiene femminile. Altro esempio virtuoso è l’Irlanda, che nel 2015 ha azzerato la tassazione sugli assorbenti, così come la Scozia, che ha avviato la distribuzione gratuita alle studentesse, dopo che nel 2000 il Regno Unito aveva abbassato l’Iva dal 17,5 al 5 per cento. Sempre del 2015 è il provvedimento che in Francia ha ridotto l’imposta sui prodotti femminili dal 20 al 5,5 per cento. Anche il Belgio ha fatto una scelta simile, passando dal 20 al 6 per cento, mentre in Olanda la tassazione era già al 6 per cento.
Unica pecora nera resta l’Italia, che con l’aliquota al 22 per cento è uno dei paesi con percentuali più alte di tassazione insieme a Ungheria (27 per cento), e Danimarca, Svezia e Norvegia, che arrivano al 25 per cento.
Le proposte di cambiamento, da Civati a Sileri
Mentre lo scenario internazionale in materia di tassazione su questi tipi di prodotti sta rapidamente mutando, nel nostro Paese la situazione è stagnante. Un tentativo di cambiamento lo aveva fatto nel 2016 il partito Possibile fondato da Giuseppe Civati, con una proposta di legge per portare gli assorbenti nella fascia di prodotti con Iva al 4 per cento, a cui era seguita una petizione su change.org che aveva raccolto il favore di 67.266 sostenitori. Ma la proposta non è mai stata presa in considerazione e Civati era diventato bersaglio di ironia su internet e sui social network proprio per la sua proposta.
In questa legislatura ci sta riprovando il presidente della Commissione Igiene e sanità Pierpaolo Sileri (M5s), che ha presentato un disegno di legge a riguardo. “Gli assorbenti intimi per le donne sono una necessità primaria, prodotti che devono acquistare una volta al mese per circa 40 anni. – ha spiegato il senatore pentastellato – Un presidio che andrebbe considerato medico. D’altronde avere il ciclo mestruale e dover comprare degli assorbenti non è una cosa che le donne possono evitare a livello fisiologico. Per questo ho proposto di passare dall’aliquota Iva ordinaria al 22 per cento a quella agevolata al 5 per cento, come per gli altri presidi medici. Una battaglia logica, di buonsenso, che hanno portato avanti anche molti paesi europei. Sembra poca cosa, ma non lo è”. Ma per il momento l’idea è stata rimandata.
Se in Italia chi ne parla viene deriso o ignorato, negli Stati Uniti in difesa delle donne era intervenuto lo stesso Barack Obama. L’ex presidente Usa, intervistato a marzo 2016, disse che “non aveva idea del motivo per cui questi beni siano considerati di lusso” e che probabilmente “il motivo è che a fare le leggi sono gli uomini”. Intanto il dibattito in Italia continua e una soluzione allineata al contesto internazionale sembra ancora un miraggio. “Noi crediamo che gli assorbenti – conclude Ruffini di Non una di meno – dovrebbero essere distribuiti gratuitamente da un sistema di welfare diverso da quello attuale, che è sempre meno rispondente alle esigenze di salute e sessualità delle donne e delle soggettività ‘non conformi’.”