Cultura

Teatro alla Scala, alla Primina per i giovani trionfo dell’Attila tra selfie nel foyer e storie su Instagram (ma per l’inno tutti in piedi)

Matricole in smoking, melomani agguerriti, quelli con lo zaino, le altre con i tacchi da vertigine: i primi a vedere l'allestimento di Livermore - due giorni prima della Prima di Sant'Ambrogio - sono gli under 30 ultrasocial: "Com'è l'hashtag?". La messa in scena sembra promossa: "Verdi è incredibile: anche ambientata nel Novecento, l'opera funziona benissimo"

di Beatrice Manca

C’è chi arriva con lo zaino, appena sceso dal treno, e chi si destreggia su tacchi vertiginosi, guanti e abiti di paillettes. Le matricole in smoking e i melomani agguerriti, attenti alla partitura. I primi in assoluto a vedere il nuovo allestimento verdiano di Davide Livermore non sono alte cariche istituzionali o celebrità, ma i ragazzi con meno di 30 anni: che applaudono, criticano, commentano e postano tutto sui social. “Io non amo le rivisitazioni storiche però… Questa era meravigliosa”. Due ragazzi scendono velocemente le scale del Piermarini. Giacca di velluto, pantaloni a quadri, mocassini. “I cori, i cori soprattutto”. I primi a vedere – e a commentare – Attila, l’opera verdiana che apre la nuova stagione del Teatro alla Scala, sono i ragazzi sotto i trent’anni, a cui è riservata l’anteprima del 4 dicembre.Tre giorni prima del grande debutto di stagione, con il suo parterre di politici, cariche istituzionali e celebrità varie, ogni nuovo allestimento viene visionato da una platea giovane, ma non per questo meno attenta. I biglietti (24 euro circa) vengono venduti un mese prima, in biglietteria e online: per avere un posto al Piermarini a prezzi democratici ci si mette in fila dalla notte prima, o si tenta la corsa all’ultimo click su Ticketone, confidando in una buona connessione.

I ragazzi arrivano in teatro verso le cinque e trenta, con il giusto anticipo per godersi il foyer addobbato per Natale e perché si sa, il maestro Riccardo Chailly spacca il secondo e alle 18 in punto si alza il sipario. Fuori si fanno le prove generali anche per le contestazioni del 7 dicembre: un gruppetto di manifestanti tiene cartelli con scritto “Teatro Alla Stalla”. “Ma chi sono, gli animalisti?” chiede una ragazza con un bolero di pelliccia sintetica: “La mia è finta, comunque”.

Si viene qui per la musica, ma anche – e soprattutto – per l’aura blasonata del teatro, per concedersi una serata in lungo al prezzo di un aperitivo in centro. Le ragazze con abiti di lurex più scintillanti del costume di Odabella sul palco e le matricole universitarie in smoking che mandano le foto alla mamma su whatsapp. Ovviamente, è d’obbligo postare tutto: gli specchi e le luci del foyer, poi, sono perfetti per i selfie. Non è solo vanità, è il tentativo di catturare un luccichìo del tempio della lirica e conservarlo. E non importa che si abbiano i posti in galleria, che costringono a stare in piedi per vedere il palco: l’importante è esserci. Man mano che si prende posto ci si concede l’ultima storia Instagram sotto il lampadario di cristallo “Com’è l’hashtag?” chiede distrattamente una ragazza provando a digitare con i guanti. Ma poi, alle prime note dell’inno di Mameli, tutti si alzano immediatamente in piedi. Qualcuno mette la mano sul cuore, altri cantano a labbra socchiuse. Canta pure Livermore, il regista, in platea.

A sipario alzato, divieto tassativo di usare lo smartphone: anche se la tentazione di immortalare l’ingresso di Attila in scena a cavallo è forte, e qualcuno, dalla penombra dei palchetti, riesce a riprendere il tableau vivant delle grandi scene corali. “Com’è patriottica” mormora un ragazzo alla fidanzata all’ennesimo sventolare di fazzoletti tricolore. “L’avranno fatto apposta?”

Due ragazze si chinano sullo smartphone per cercare di leggere la sinossi: la storia di vendetta, amore e tradimento tra Attila, Ezio e Odabella non è esattamente un soggetto noto, ma di sicuro coinvolgente: “Però Odabella è stata un po’ una stronza” commenta una all’orecchio dell’altra durante il finale. Per molti, la prima volta alla Scala coincide con la prima opera lirica: “Non me l’aspettavo così dinamica, così imponente”, confessa Alessandro, che ha 28 anni e si è appena trasferito a Milano. In effetti Livermore ha messo in scena un allestimento grandioso, un sistema di colonne e impalcature mobili, cavalcavia, ponti che si aprono, vetrate e scalinate che trasformano la scena ora nel campo da battaglia, ora nell’accampamento di Attila. La Roma immaginata da Gio Forma è la città delle rovine, la Roma nella decadenza. “Verdi è incredibile, è proprio vero che parla del cuore degli uomini: anche ambientata nel Novecento l’opera funziona benissimo”. Ilaria ha 23 anni, ha abbinato l’ombretto alla giacca di paillettes ed esce entusiasta. Alla scena dell’idolo rovesciato si sporge in avanti per vedere meglio: “E’ quella che hanno cambiato vero? Mah, aveva più senso con la statua della Madonna”, commenta, facendo riferimento al taglio della polemica chiesto da un sindaco del Bergamasco.

Gli habituè della Primina si riconoscono subito, dalla sicurezza con cui puntano i bagni all’intervallo o si dirigono nel ridotto: “Andiamo al Toscanini, che le foto vengono benissimo lì”. I neofiti invece sono quelli che sfogliano velocemente la lettura di sala nell’oscurità per capire se sia già la pausa o solo un cambio scena. Ci sono i melomani puri, con il gilet e il fermacravatta, che conoscono il libretto a memoria e commentano la pulizia del timbro dei cantanti come il più navigato dei critici. C’è chi traballa sui tacchi a spillo e chi è arrivato direttamente dalla stazione, con le sneakers e lo zaino in spalla. Alcuni hanno guidato tutto il pomeriggio per essere qui. Ci sono i ragazzi pazienti che fotografano le fidanzate in posa tra i velluti e i corrimano: “Mi raccomando, prendi anche il tacco”. Una ragazza sfida il freddo meneghino e azzarda un sandalo aperto sotto un abito trasparente, senza calze. Un’altra, neanche fosse agosto, un abito bianco d’organza.

Nonostante sia una prova, i cantanti non si risparmiamo e il pubblico ricambia altrettanto generosamente: applausi a scena aperta, al cast, soprattutto per il soprano, Saioa Hernàndez, al debutto scaligero. “Bravo, bravo!” urla un ragazzo in dolcevita dalle gallerie quando appare Ildar Abdrazakov. I “bravo” volano giù anche per il direttore Chailly.

All’uscita ci si consulta per scegliere un locale dove bere un bicchiere di vino. Ma a guardar bene, si possono scorgere elegantissimi ragazzi anche in un fast food dietro l’angolo, alla massima distanza consentita dai tacchi a spillo. “Allora, c’è lei che viene rapita dal capo dei barbari, ma vuole ucciderlo per vendicare il padre… Mi passi la salsa, per favore?”.

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